La cantautrice australiana ha chiuso a Milano un tour mondiale sold out trasportando i fan nella musica di strada del suo “Flow State”
Non è facile costruire canzoni suonando da soli tutti gli strumenti, utilizzando alla perfezione loop station e effetti. Non è facile farlo dalla propria camera da letto, riprendendosi con la telecamera e mettendo il video su Youtube racimolando milioni di visualizzazioni. Non è facile partire dal web e arrivare a fare la stessa cosa su un palco sotto casa, figuriamoci in un tour mondiale in locali soldout. Eppure c’è chi lo ha fatto. Lasciando a bocca aperta fan vecchi e nuovi. Il tutto a soli 23 anni.
Stiamo parlando di Tash Sultana, cantautrice australiana dal talento indiscusso che lo scorso sabato 29 settembre ha chiuso il suo tour europeo al Fabrique di Milano con uno show di oltre due ore, in cui l’adrenalina non è mai scesa nemmeno di un granello.
Sul palco una semplice pedana in cui Tash era libera di saltare tra tastiere, drum machine, batteria, tromba, pedaliere enormi e ovviamente la sua fida chitarra. Non è semplice, dicevamo, costruire canzoni con la loop station. Significa prima di tutto decostruire un pezzo in tanti segmenti ripetibili, strati di suono che vanno lentamente a sovrapporsi per creare qualcosa di lontano però dal ripetitivo. È un’operazione che richiede pazienza (il loop va costruito e registrato, aggiungendo strati su strati e lavorando sulla profondità del tappeto musicale) e che ha bisogno di un esecutore carismatico, che sappia mantenere alta l’attenzione dell’ascoltatore.
Tash Sultana è tutto questo, e anche di più. Forte del suo sorriso e del suo look da artista di strada (jeans, cappellino e piedi nudi) tiene il palco come una veterana. Il Fabrique è stracolmo, e per chi è partito dalla sua cameretta di Melbourne portare l’arte e la cultura busker a questi livelli, e di fronte a migliaia di persone in tutto il mondo, la soddisfazione è enorme, e dà dignità ad un genere musicale troppo spesso considerato di strada, e indirettamente di serie b.
Tash presenta il suo primo album full length, Flow State, che arriva due anni dopo il primissimo EP Notion. L’impronta stilistica non cambia: la sua musica continua a trasudare genuinità e una sorta di abbandono dei sensi che ben rispecchia lo “stato di flusso” che dà il titolo al disco (pubblicato dalla Sony). C’è un senso di trance artistica nel suo saltare da uno strumento all’altro mentre campiona se stessa, ed è uno stato che si riflette anche nel pubblico in sala. E questo assume ancora più importanza per chi a 17 anni ha dovuto passare diversi mesi in terapia dopo un trip di allucinogeni finito male.
Highlight del concerto sono sicuramente inizio e chiusura. Si parte con Big Smoke, il primo singolo tratto dall’album, in cui Tash dà subito l’impressione di “sentire” quello che suona, come se davvero la sua musica fosse un fumo da respirare e da portare in fondo ai propri polmoni per lasciarsi inebriare. E poi, prima del bis con Blackbird, pezzo ricco di inflessioni orientali a perfetta chiusura delle oltre due ore di set, la sua hit più famosa, Jungle. È forse l’unico pezzo della scaletta che tutti i presenti conoscono, fan fedelissimi al pari di curiosi meno esperti, ed è la summa perfetta dello stile della cantautrice australiana: qui più che in altri pezzi la costruzione per blocchi sovrapposti e per layers di melodie e di strumenti è più evidente, ed è inevitabile lasciarsi andare all’atmosfera vibrante e rarefatta creata da Tash. Perché ci sono artisti che sanno rendere possibile anche il compito più improbabile.
Tash Sultana Flow State (Sony)