Il regista dell’applauditissimo “Indivisibili” torna con un film che rilancia il tema del doppio (le due Maria, Pina Turco e Marina Confalone), in un fitto rimando di simboli mariani che parrebbe quasi di aspirazione evangelica. La Castel Volturno di De Angelis è più simile a un girone infernale dantesco che a una città e l’universo femminile rivaleggia lì in violenza e cinismo con quello maschile. Finché il sogno di una maternità sembra scombinare questo abisso di dolore senza scampo
Con Il vizio della speranza, Edoardo De Angelis torna a parlare di una Napoli disgraziata e infelice, come quella di Indivisibili, il suo precedente film che gli valse una cascata di premi e un successo anche internazionale. Il regista partenopeo sceglie ora di mostrare al cinema una storia difficilmente digeribile in un’ora e mezza di film, un universo borderline che pochi avrebbero avuto il coraggio di affrontare e lascia tanti spazi alla critica, ma che va masticato un pezzo alla volta per riconoscerne tutti gli ingredienti.
Maria (Pina Turco, perfetta interprete di Deborah in Gomorra – La serie di Stefano Sollima, nonché moglie e qui grande musa di De Angelis) gestisce un traffico di donne, sfruttate al solo scopo di produrre figli da vendere sul mercato nero ad altre donne disposte a pagare qualsiasi cifra pur di diventare madri. Questa compravendita preziosa di vite umane è organizzata da Zi’ Maria (Marina Confalone), simile a una potente madonna, ingioiellata ed eroinomane. Tutto cambia quando Maria scopre di essere incinta e capisce di voler tenere il suo bambino. Perché la domanda che riecheggia pesante lungo il corso del film sembrerebbe: cambiar vita è possibile?
Maria infatti appare una predestinata, col suo cappuccio azzurro calato sulla testa e una ferita antica che le ha rubato troppo presto l’infanzia, una Madonna persa, pronta a diventare come il suo boss, Zi’ Maria. Come due facce della stessa disperazione, una il doppio dell’altra. Verrebbe da dire che il regista abbia una fascinazione per questo tema del doppio, che a ben vedere costituisce un fil rouge nella sua produzione cinematografica, già molto sfaccettata anche se breve: tema incarnato dalle gemelle siamesi di Indivisibili (fuori dalla finzione scenica le sorelle Angela e Marianna Fontana), ma sfruttato con efficacia sul registro comico nella scrittura di film come L’ora legale per la coppia Ficarra e Picone o Vengo anch’io per Nuzzo e Di Biase.
A proposito di scrittura è su questo piano che Il vizio della speranza pare essere meno forte; infatti la storia costruita da De Angelis e Umberto Contarello (grande co-sceneggiatore di Paolo Sorrentino sia per Loro che La grande bellezza) mostra da subito simbologie, segni, metafore e nomi parlanti che tradiscono l’ambizione di diventare quasi un’allegoria evangelica. Non è un caso che entrambe le protagoniste si chiamino Maria, e quello è solo l’inizio di un proliferare di rimandi mariani tra la gravidanza che s’intende quasi come immacolata concezione della protagonista e le varie peccatrici dai nomi fin troppo studiati: Fatima, Virgin, Hope, Blessing… Per questo la struttura pare più volte vacillare: la bravura di Pina Turco non può compensare del tutto alcune cadute, come le decisioni repentine, discontinue, talvolta in disaccordo con l’arco del personaggio prese dalla donna. Inoltre l’accumulo di sofferenze offerte dalla trama arriva al punto di sortire l’effetto contrario e anestetizzare l’occhio dello spettatore.
Tuttavia la regia cerca di inseguire da vicino i personaggi e tenere insieme le vicende, restituendo umanità e sentimenti reali grazie a primi piani molto intensi, a campi lunghi su paesaggi desolati che sembrano gironi infernali danteschi, pianisequenza su un villaggio di case che è tutto un’enorme chiesa sconsacrata. Anche la colonna sonora di Enzo Avitabile illumina la pellicola, e nelle sue parti più buie la riempie, laddove i dialoghi non arrivano, con sonorità afro-napoletane sperimentali e contemporanee.
L’ultimo personaggio in scena dall’inizio alla fine è il paese in cui tutta questa miseria accade, Castel Volturno, terra nei dintorni di Napoli ma territorio oscuro e dai bordi imprecisi, in cui vigono regole non scritte e crudeli. Un regno governato da donne malvagie, che sono diventate più cattive degli uomini e picchiano, sfruttano, non tradiscono emozioni, mentre l’unico essere umano sembra essere rimasto Carlo Pengue (Massimiliano Rossi, terribile padre delle gemelle fenomeno da baraccone di Indivisibili) che aiuta Maria a compiere il suo sogno di speranza. Alla fine la speranza raccontata in questa storia è che esista ancora la vita, anche per un’anima povera e sola. E che si possa sfuggire alla miseria e ci si possa aiutare tra esseri umani senza perdere mai completamente il vizio di credere anche nelle cose impossibili.
Il vizio della speranza, di Edoardo de Angelis, con Marina Confalone, Massimiliano Rossi, Pina Turco, Cristina Donadio, Odette Gomis, Juliet Esey Joseph, Maria Angela Robustelli, Jane Bobkova, Yvonne Zidiouemba, Marcello Romolo, Demi Licata, Nancy Colarusso, Imma Mauriello