Molto interessante l’edizione di Andrea Renzi e Pierpaolo Sepe del testo (poi trasformato in pièce) di Robin Maugham
foto di Laura Micciarelli
Il servo è la storia di una dipendenza, non dal fumo, dalla droga o dal sesso… dall’alcool sì, ma solo secondariamente. Quella analizzata in questo sulfureo dramma estremamente britannico – scritto sotto forma di romanzo nel 1948 da Robin Maugham e adattato da lui stesso per il teatro dieci anni dopo – è la dipendenza dal comfort, esaminata con un umorismo tetro e malizioso che estorce le risate facendo leva, all’opposto, proprio sul “discomfort”, sulla sensazione di disagio che il pubblico prova nel vedere l’aristocratico Tony lasciarsi alle spalle le proverbiali “belle speranze” – nonché ogni residuo di dignità – facendosi lambire dagli agi procuratigli dalle attenzioni a tutto tondo di Barrett, un maggiordomo di impareggiabile zelo, formidabile competenza e virtuosistica amoralità.
Barrett vizia Tony in tutti i modi, coltiva le sue debolezze e la sua sensualità, allevandolo come un sultano inetto condannato all’irrilevanza e all’estinzione.
Nella versione di questo dramma diretta da Andrea Renzi e Pierpaolo Sepe – in scena al Piccolo Teatro Grassi fino al 25 novembre – il Servo, grazie alla perspicace interpretazione di Lino Musella, illumina la scena col suo apparente grigiore e la sua andatura esitante, ipocritamente gobbesca: basta la sua apparizione per “accordare” gli strumenti degli altri attori, resi più reattivi dal confronto con la sua maschera spenta ma capace di lasciar intravedere sottilmente sentimenti ambigui, amorevoli o feroci in egual misura.
La sua controparte maschile – il debosciato Tony, incarnato dallo stesso Andrea Renzi – è efficace soprattutto per come riesce a restare aggrappato alla propria immagine gioviale e mondana man mano che il decoro lo abbandona, mentre Barrett/Musella smantella a proprio piacimento le barriere sociali e i formalismi di facciata.
Tony Laudadio e Federica Sandrini vestono con verosimiglianza i panni di Richard e di Sally, rispettivamente l’amico rispettabile e moderatamente godereccio di Tony e la fidanzata snob di quest’ultimo, esasperata dall’irresistibile ascesa del “servo” di cui ha fiutato subito, con intuito quasi animalesco, l’insidiosa natura.
Nel ruolo doppio (?) delle provocanti ragazze di umili natali Vera e Mabel, Maria Laila Fernandez ha tutta la bravura e l’avvenenza sfacciata che la parte richiede, ma è penalizzata dall’abitudine dei registi ad esplicitare ciò che nella drammaturgia di Maugham, prodiga di allusioni, è già abbastanza chiaro. Ciò fa sì che gli atteggiamenti e gli ancheggiamenti di Vera/ Mabel risultino fin troppo “moderni”.
Questa pecca, che fa il paio con la scelta di brani musicali poco pertinenti, non danneggia comunque uno spettacolo in cui anche le battute lasciate cadere con apparente casualità arrivano all’orecchio dello spettatore cariche di perfidi sottintesi.