Un piccolo capolavoro di Rimas Tuminas, che riesce a rendere i versi di Puškin uno spettacolo avvincente e romantico, con scenografie fiabesce e musiche coinvolgenti
Aleksandr Puškin scrisse Evgenij Onegin tra il 1823 e il 1831, ignorando che il duello mortale al centro del suo romanzo poetico era un presagio del destino che l’attendeva: il poeta infatti, geloso della moglie, sfidò il presunto amante e restò ucciso a soli 37 anni. Il suo Onegin è diventato un’opera lirica, con le musiche di Ciajkovskij, e un balletto, con la coreografia di John Cranko; grazie a Rimas Tuminas, regista lituano di incredibile talento, ne riscopriamo la storia e la potenza sul palcoscenico del Piccolo Teatro Strehler.
“Io sono innamorata” tristemente
continuava Tania a mormorare.
“Sei malata, tesoro, certamente”.
“Innamorata son, lasciami stare”.
Quello di Tuminas è uno spettacolo armonico, musicale, ricco di contenuti simbolici e di cambi di prospettiva; la lingua russa diventa melodica, essenza stessa della trama, e i canti, i gesti, la neve, la fisarmonica suonata da Olga, le ballerine, lo specchio in fondo al palcoscenico che muovendosi ci restituisce l’idea del movimento… ogni particolare riempie i versi di Puškin di una “sinfonia di significati” che rende tridimensionale ogni parola.
La storia dell’Onegin ruota intorno a quattro figure fondamentali: le due sorelle Tatiana e Olga, e i giovani amici Lenskij e Onegin. Lo spettacolo di Tuminas, però, pone l’accento sull’amore mancato tra Tatiana e Onegin, e suddivide la trama in tanti fotogrammi curati in ogni dettaglio. Due Onegin si muovono sulla scena: il giovane, arrogante e presuntuoso, e il vecchio, malinconico e solo. Il primo mette in moto gli ingranaggi che porteranno alla tragedia, con la determinatezza che soltanto chi è affamato di vita può avere; il secondo ricorda e rimpiange i tempi della giovinezza quando, pur essendo ancora tutto possibile, sembrava già tutto avvenuto.
Assistiamo allo sbocciare dell’amore tra Olga e Lenskij, due giovani ingenui e fiduciosi: lui un poeta romantico che vive il sentimento con passione, lei una ragazza dolce che vede in Lenskij la realizzazione del suo sogno d’amore. La rappresentazione dell’innamoramento tra i due fa trasparire la tenerezza e la purezza di un legame autentico, messo in ombra dal cupo umore di Onegin che, con sfrontata arroganza, rifiuta l’amore di Tatiana. Trattandola come una ragazzina accecata dalla passione, le confida la sua incapacità di immaginarsi felice in una famiglia, e la allontana con freddezza mascherata da galanteria. Non pago del semplice rifiuto e alla ricerca di una nuova forma di svago, Onegin corteggia Olga, già fidanzata con Lenskij, senza curarsi né della timidezza della giovane né dell’orgoglio dell’amico.
La fiera indignazione ed il compianto,
lo spassionato amore per il bene
e il tormentoso della gloria incanto
gli agitavano il sangue nelle vene.
L’epilogo di questa prima parte è atroce: Lenskij muore in duello, ferito a morte da Onegin, e la disperazione di Olga esplode in tutta la sua forza. Tatiana, non comprendendo la sfrontatezza di Onegin, si chiude nel suo silenzio e si consola nel gelido inverno russo, tanto amato in quella campagna semplice e pura e ormai specchio dei suoi pensieri e delle sue disillusioni.
Così il destino ha deciso di agire e, come ha distribuito le carte, così tira le somme: Olga, nuovamente innamorata, si sposerà (questa volta davvero); Tatiana, costretta a lasciare il suo nido in campagna per la città, troverà in Mosca una nuova promessa e sposerà un reduce di guerra, apprezzato dalla corte e inserito nel bel mondo. Come moglie di un altro la ritrova Onegin anni dopo, piegato dalla vita e finalmente umile nel sentimento: le dichiara il suo amore, ormai abbandonato a quella forza tanto a lungo inascoltata. Tatiana gli restituisce il favore che lui le aveva fatto anni prima: gentile ma fredda, respinge quell’amore e, caparbia fino alla fine, lo prega di lasciarle vivere la sua vita.
Così si conclude lo spettacolo, straziante storia di un sentimento prima incompreso e poi rifiutato, delicato affresco della Russia e dei suoi riti o, per dirla con le parole del regista, tentativo di rappresentare un poema che è “sintesi di Luce e Bellezza”.