Il regista francese dei recenti e ottimi “Sils Maria” e “Qualcosa nell’aria” dirige Juliette Binoche e Guillaume Canet in “Il gioco delle coppie”, una commedia forse troppo parlata ma caustica a sufficienza. Tra cinici editori e scrittori vanesi, attrici di polizieschi e giovani esperte di social che “giocano” pericolosamente con libri e internet, relazioni e realtà
Olivier Assayas è un regista intelligente e onesto. È suo uno dei film recenti più riusciti, Qualcosa nell’aria, (2012) sul ’68 (francese e non solo), uno dei pochi film, insieme a Dreamers di Bernardo Bertolucci, che non abbia attribuito a quel grande, fecondo e festoso movimento di massa quasi tutte le nefandezze accadute successivamente nella storia umana, europea soprattutto, dal terrorismo alla ri-analfabettizzazione dell’occidente.
Ora si è cimentato con un tema che da anni è al centro di un grande dibattito, l’evoluzione della cultura e dell’informazione nel secolo dell’informatica. Nello specifico, chi, come, cosa e quanto si legge (nel senso dei libri) nell’era dei Kindle e dei kobo. Dice Assayas di aver cominciato a scrivere Il gioco delle coppie, – scadente titolo italiano, ovviamente tutto e solo centrato sulle storie incrociate di tradimenti dei protagonisti, in luogo del più ricco e originale Double vies – prima di Personal Shopper, che è del 2016, e di non aver saputo per molto tempo che destinazione dare al suo materiale. Un testo teatrale forse, o un film ma diverso dagli altri, «un film di idee», come poi l’ha definito e costruito. E c’è da dire subito che il passaggio del tempo purtroppo si sente, nel fatale invecchiamento delle discussioni dei protagonisti e dei loro amici proprio sul tema centrale: cosa pubblicare e perché, come usare i nuovi mezzi elettronici di lettura, quali tempi di vita ha un soggetto, un’idea, un sentimento diventato letteratura in un’epoca come la nostra in cui il consumo di tutto, idee comprese (anzi, forse in primo luogo) si è fatto distratto e sfuggente.
E in conseguenza di tutto questo, come va trattato il pubblico, meno ridotto di quanto si immagini ma sempre più volubile, difficile da intercettare, però alla fine comunque manipolabile. Perché in campo ci sono un raffinato, supponente e cinico editor (Guillaume Canet), la moglie attrice di poliziotteschi televisivi (Juliette Binoche), che si autodefinisce “specialista di situazioni di crisi” ma in realtà fa l’agente d’assalto, l’amante (di lei), uno scrittore insopportabilmente autocentrato (Vincent Macaigne) e piagnucoloso, infine la giovane e sgomitante segretaria (ma esperta di “social”, dunque personaggio centrale) temporanea nonché amante (di lui). Più altri caratteri di sfondo, non tutti secondari, che si muovono tra politica, cultura e media.
Nel Gioco delle coppie la parola arriva subito, alla prima scena: editore e scrittore discutono dell’ultimo libro di quest’ultimo, che il primo non vuol pubblicare, ma è come se proseguissero conversazioni un po’ eterne, quindi a modo loro svincolate da attualità letterarie o tecnologiche, tra case, bar, camere d’albergo, convegni. Ma poi è la vita stessa che si intrufola implacabilmente nelle pagine di quei libri autobiografici, in cui l’autore ruba squarci di verità alla sua stessa esperienza, mettendo a rischio protagonisti e protagoniste. Ed è un racconto letterario, più o meno digitale, veicolato da ebook, blog, post, tweet, audiolibri, quasi sempre alterato, contraffatto, sono esistenze plasmate a ritroso, rimodellate non per colpa di cattivi ricordi, ma dal desiderio di raccontare e raccontarsi così, spesso mentendo più per vanità che per tatto o convenienza..
Le identità confuse e rimescolate di questi protagonisti sono un po’ come i loro libri, non più classicamente universali e di carta ma non ancora del tutto compiutamente elettronici e futuri nella loro concezione, e ancor di più nella loro presenza su un mercato che si fa una gran fatica a capire. Così le quote di vendita svaniscono in un soffio, e qualche volta poi riappaiono, come le relazioni tra questi personaggi, e i loro amori supposti o reali. Perché la creazione è sempre più un territorio condiviso dell’arte e dalla vita stessa, in una sorta di autoracconto, o di meta-esperienza esistenziale, che finiscono confusamente per confondersi, sovrapporsi.
Assayas prosegue insomma in Il gioco delle coppie il suo discorso sulla cultura e la performance-narrazione contemporanee, avviato dai film più recenti, Sils Maria e Personal Shopper, con occhio cinematograficamente semplificato e a tratti morale, spazientito perfino, nonostante la presenza di attori che mostra chiaramente di amare e apprezzare (Binoche era già stata la bravissima protagonista, con Kristen Stewart, di Sils Maria): è il suo mondo, lo conosce da vicino come regista, scrittore, intellettuale benestante parigino, ne è parte ma riesce comunque a salvare per sé un ruolo da osservatore, di fronte a uomini e donne incompiuti e spesso artefatti. Nei loro discorsi pubblici e privati, nelle loro opere e nella vita reale che conducono. È la tragedia di una società un po’ ridicola, che non vivendo da decenni veri drammi si limita a discuterne, al massimo a metterne in scena frammenti smorzati. Facilmente superabili, forse, ma comunque, a volte, abbastanza dolorosi.
Il gioco delle coppie, di Olivier Assayas, con Guillaume Canet, Juliette Binoche, Vincent Macaigne, Nora Hamzawi, Christa Théret, Pascal Greggory, Laurent Poitrenaux, Sigrid Bouaziz, Lionel Dray, Nicolas Bouchaud, Antoine Reinartz