Alla galleria 29 arts in progress, le splendide immagini in bianco e nero di Alain Laboile, scultore e fotografo francese, mettono in scena il racconto di un’infanzia, tra fiaba e diario familiare; con Robert Doisneau e Henri Cartier-Bresson come numi tutelari
Le Temps Retrouvé, “Il tempo ritrovato” in italiano, è una mostra fotografica totalmente e volutamente in black&white, di Alain Laboile (1968), il quale non nasce professionalmente come fotografo ma come scultore. La fotografia, come egli stesso la definisce, è “par hasard”, un caso, e per la necessità di dover fotografare i propri lavori scultorei.
Laboile è un artista noto, le sue sculture, la maggior parte di dimensioni colossali, hanno quindi l’esigenza di essere fotografate.
Alain è francese, non parigino: è di Bordeaux, vive in campagna con sei figli che presto, oltre alle sue sculture, diventano i suoi soggetti prediletti. La storia, che racconta con le sue immagini, è di tipo fiabesco: troviamo infatti il bosco, dove i bimbi giocano mezzi nudi, corrono, saltano, fanno acrobazie; troviamo la campagna, molto bucolica; troviamo il mare.
C’è una delicatezza insita in ogni immagine, un pudore reverenziale, non solo del padre verso chi fotografa i suoi figli ma verso la visione di Alain per il mondo. Non ci sono bambini messi in posa, ci sono bambini ritratti quasi senza che loro stessi se ne accorgano, c’è tanta felicità nelle fotografie di Laboile: quella stessa felicità che mi ha trasmesso, facendo quattro chiacchiere, davanti ad un bicchiere di vino.
Nelle sale della galleria 29 Arts in progress sono esposte trenta fotografie di un progetto, in progress, riferito essenzialmente al “passaggio sulla terra” che ci accomuna tutti. Laboile comincia tardi ad occuparsi di fotografia, non è ancora molto avvezzo all’utilizzo dell’analogico ma sa perfettamente padroneggiare il medium digitale, lo padroneggia in modo direi magistrale; tanto che guardare le sue fotografie significa immergersi, completamente, nel suo mondo incantato.
Nello spazio espositivo, ricavato all’interno di un cortile in via San Vittore a Milano, dalle pareti dipinte tutte di bianco, dai soppalchi anch’essi bianchi, le fotografie in bianco e nero di Laboile diventano scintillanti, sono un inno alla vita.
Ecco perché si parla nel titolo di “tempo ritrovato”: è il tempo dei fanciulli che senza pensieri, senza paure si inoltrano correndo, scalando sentieri impervi, immersi nella luce, il tempo di giocare in mare con un salvagente, il tempo anche dell’amore, quello di due bambini che sotto il tavolo di una cucina rustica si danno un bacio a fior di labbra, “il” bacio che solo i bimbi sono in grado di poter dare.
La famiglia, quindi, diventa non solo il motore delle sue fotografie ma la rivisitazione di un tema assai complesso visto però con il suo occhio, con leggerezza, con freschezza, senza timori. Quello che noi non siamo in grado di fare, Alain Laboile lo fa molto bene e per un
certo verso ci tranquillizza, ci fa sapere che i suoi bambini, che potrebbero essere anche i nostri, sono al sicuro, senza ansia, senza angoscia.
Il titolo dell’esposizione è poi un chiaro omaggio al settimo ed ultimo volume della Ricerca del tempo perduto. Se nel libro di Proust si racconta, tra l’altro, la tensione di Gilberte a voler tornare bambina, agli anni della giovinezza felice, in Laboile invece, la fanciullezza, la felicità, la gioia, sono tangibili, sono reali.
Pensando alla fotografia in generale, la domanda che tutti noi ci dovremmo porre è: quale motivo migliore può avere un fotografo se non quello di ritrarre attimi sospesi rendendoli eterni? Come già sosteneva Robert Doisneau, famoso fotografo francese nato nel 1912, “Non mi
sono mai chiesto perché scattassi delle foto. In realtà la mia è una battaglia disperata contro l’idea che siamo tutti destinati a scomparire. Sono deciso ad impedire al tempo di scorrere. È pura follia”.
Questo è quello che con le sue immagini Alain Laboile fa quotidianamente, rendendo più leggera e gioiosa anche la nostra vita, quella di tutti i giorni, la nostra vita quotidiana, i gesti ripetuti, i giochi rifatti una, due, cinque volte che sembrano sempre gli stessi ma non sono mai uguali. Alain con le sue immagini fa diventare questi attimi sospesi, attimi eterni.
Immagine di copertina: Alain Laboile, Appuis, 2013. Tutte le immagini per gentile concessione dell’autore.