La memoria privata di Vanessa Roghi si intreccia con le voci pubbliche di scrittori, cantanti, giornalisti, sociologi: una storia della dipendenza nella piccola provincia italiana, che diventa paradigma di un calvario condiviso da intere generazioni.
“Così, riassumendo, negli anni Settanta, per me bambina, le Cose che Esistono sono il Femminismo, la Politica, il Mondo e la Città. «Linus», in bagno, da leggere. Mentre ancora non ci sono i cartoni animati giapponesi e soprattutto ancora non c’è l’Eroina che cambierà di lì a poco il Mondo, il Femminismo e la Politica. Ma soprattutto la Città.”
Vanessa Roghi, storica del tempo presente, inizia così il suo ultimo libro Piccola città edito da Laterza alla fine del 2018 nella collana I Robinson. Siamo di fronte a un testo che ha come principali pregi quello di non essere inquadrabile in alcuna etichetta (memoriale, saggio, narrazione) e quello di risultare allo stesso tempo storia personale e storia corale.
L’autrice costruisce un excursus sociale, politico, culturale e storico sulla diffusione dell’eroina in Italia (e sullo sfondo anche in Europa e nel Mondo), a partire dalla casistica della morfinomania post bellica, passando per le diverse dipendenze da sostanze anche farmacologiche e ponendo come filo conduttore del libro la vicenda autobiografica della tossicodipendenza da eroina del proprio padre. La “piccola città” di cui si parla è Grosseto, ma potrebbe essere qualsiasi altra realtà italiana di provincia.
“La piccola città era Grosseto e gli struzzi i suoi abitanti. Così pensavo allora. O forse no. Forse gli struzzi erano mio padre e i suoi amici che avevano scritto e disegnato su quel muro. L’incapacità era la loro. E la sabbia era l’eroina. Ma, ero bambina, non sapevo niente dell’incapacità, dell’eroina, preferivo pensare che gli struzzi fossero gli altri, non mio padre.”
Il coinvolgimento emotivo di Vanessa Roghi, gestito con coraggio, autenticità e misura, risulta anima necessaria a catturare il lettore su un tema così scomodo, doloroso, ambivalente e in sostanza rimosso. Vediamo foto tratte dall’album personale, questo splendido ragazzo coi baffi e la bella madre, assistiamo all’esposizione della propria vita (che non si fa mai esibizione) sotto la categoria dell’infamia legata all’eroina, questo il giudizio comune intorno ai tossici e alle loro famiglie nelle piccole ma anche grandi città italiane.
Capelloni, sinistroidi, sporchi, infettivi, delinquenti: la peste del secolo. Nessun’altra forma di tossicodipendenza assume nell’immaginario comune tratti così degradanti e negativi. Sostanze non meno pericolose e diffuse, come la cocaina, vengono ad esempio associate ai soldi e al successo.
Piccola città può essere considerato uno scritto storico in ragione della presenza di un gran numero di documenti: articoli tratti dai principali quotidiani, riferimenti a documentari, film, estratti di atti parlamentari, testimonianze private e anche consistenti citazioni da alcune pubblicazioni fondamentali degli anni ‘70 sul tema. Libri come: La droga e il sistema. Cento drogati raccontano, M. Rusconi – G. Blumir, Feltrinelli, 1972; Esperienza di una ricerca sulle tossicomanie giovanili in Italia, L. Cancrini. Mondadori, 1972; Il sistema mondiale della droga. La tossicomania come prodotto del capitalismo internazionale, Einaudi, 1973; L’eroina di Stato. Interventi di tossicomani, operatori e gruppi di base sulla legalizzazione, La Nuova Italia, 1979.
Dai molti stralci di articoli dei quotidiani ci si accorge di quanto un tempo il dibattito sull’eroina e sulle dipendenze in Italia fosse ampio e viene da chiedersi come mai si sia smesso di parlarne, mentre i dati relativi al 2017 ci raccontano una realtà ancora devastante.
La struttura scelta dall’autrice alterna capitoli principali a Voci, così sono intitolati i testi in corsivo tratti da varie fonti, che fanno da coro della tragedia e che compongono una storia culturale della droga, fatta di parole e musica.
Così, per esempio, Elsa Morante, ne La storia:
“Lo trovarono che respirava ancora, seppure impercettibilmente. Ma appena fecero per sollevarlo, emise un piccolo sospiro puerile, quasi tenero, e la sua respirazione cessò. A ucciderlo era stata, evidentemente, una iper dose; ma forse la sua volontà, nell’iniettarsela, non era stata, propriamente, di morire. Il ragazzo aveva preso troppa paura e troppo freddo; aveva voglia soltanto di una dormita che lo guarisse. Una dormita fonda, fonda..”
Ma sono molti gli autori che, oltre a Morante, contribuiscono con propri brani a questa narrazione: Carlo Cassola, Dino Buzzati, Carlo Bianciardi, William Borroughs, Andrea Zanzotto, Silvia Ballestra, Andrea Pazienza; le canzoni di Francesco Guccini, Fabrizio de André, Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Neil Young, Lou Reed, Alan Sorrenti, Antonello Venditti: una vastità di espressioni emblematiche di quanto ciò che ruota intorno al tema delle tossicodipendenze, e dell’eroina in particolare, abbia permeato vari aspetti della nostra società e della vita culturale, «parlerei di cultura in senso ampio -precisa Roghi- un fenomeno che coinvolge il basso e l’alto, la vita comune della gente, la musica popolare, ma anche la letteratura.»
“Sono nata nel ‘78 da due genitori appena ventenni di Abbadia San Salvatore, che si separarono poco dopo lasciando che mia nonna si occupasse di me. Il mio babbo ha iniziato a farsi nell’82, molti dei suoi amici sono morti giovanissimi, lasciando non pochi miei coetanei orfani e macchiati da una specie di onta che poi col tempo è diventata un tabù… il terrore che ha accompagnato la mia infanzia nei confronti di questo drago, dei drogati, delle siringhe, una paura che solo la bomba atomica arrivava ad eguagliare.”
L’impostazione corale, oltre ad arricchire il racconto e a funzionare da cassa di risonanza alla storia personale dell’autrice, contribuisce a rendere la complessità di “una storia dell’eroina” resa anche attraverso la molteplicità dei fili tratteggiati. «Non volevo scrivere un trattato generale – commenta l’autrice – le “Voci” mi hanno aiutata a enfatizzare l’aspetto polifonico di questa storia, proprio per rimarcare che una storia come la mia riguarda tante altre persone.»
Vanessa Roghi ci presenta diversi aspetti del problema: come e quando si diffonde la sostanza nel nostro paese; qual è il background; come si definisce la figura dell’eroinomane e come la sua immagine sociale si differenzi da ogni altro tipo di tossicomane; come si delinei storicamente l’operazione Bluemoon – che vedrebbe nella diffusione massiccia dell’eroina un piano messo in opera dalla Cia per neutralizzare l’energia di una delle generazioni più rivoluzionarie di sempre; vengono fornite al lettore informazioni sui luoghi e sui modi in cui la sostanza dilaga soprattutto nelle “piccole città” -Verona, un caso nazionale, la Bangkok italiana-; ci si addentra nel dibattito sulla legalizzazione, nelle narrazioni giornalistiche, negli accesi confronti politici sulla liberalizzazione, ma soprattutto nelle storie private tutte diverse, ma tutte uguali, dove la domanda che nonostante ogni ricerca possibile rimane aperta è: perché?
Cosa spinge un giovane verso questo abisso? All’inizio era forse la disinformazione rispetto all’alto tasso di dipendenza che la sostanza genera, ma in seguito le informazioni sono state accessibili a tutti; sono arrivate inoltre le consapevolezze circa i rischi legati alle malattie infettive, sono nati i SERT, le campagne informative su Aids ed epatite C, sono stati divulgati i dati sulle centinaia di migliaia di morti. Perché dunque?
È su questo che Vanessa Roghi ci interroga e si interroga. Una domanda che Piccola città invita a non smettere di porsi, perché non c’è ricerca storica, sociale e culturale che possa dare conto del dettaglio fondamentale: la scelta individuale e consapevole di ogni singola vittima.
“Questo libro non è una ricerca storiografica, semmai un sasso gettato nello stagno, come scriveva Gianni Rodari. Qualcuno la continuerà, la approfondirà spero… Questo libro non è che un inizio.”