Il passaggio dell’anno chiede impegni con se stessi: mettersi a dieta, la palestra, bere di meno, pensare più agli altri, mentre il mondo grande rimanda film che non ci piacciono. Poi però basta un pancake…
Anche quest’anno abbiamo passato le vacanze natalizie in campagna. La casetta che abbiamo comprato dodici anni fa è tutta di legno, sia dentro che fuori, e, ce ne siamo accorti quest’anno che i ragazzi sono più grandi, un po’ piccolina per una famiglia di cinque persone più due cani sempre esagitati. Ce ne siamo accorti perché ognuno dei tre figli ha esigenze diverse, e se ne facciamo contento uno, due si lamentano. Raramente riusciamo a farne contenti due in una volta, ma comunque c’è sempre qualcuno con il muso. Io e Dan, che siamo genitori relativamente calmi e affiatati, facciamo in modo che questo malumore non ci impedisca di rilassarci, ma devo dire che al quarto giorno cominciavamo già a essere un po’ frastornati.
La casetta è piazzata nel mezzo del nulla: anche se davanti a noi c’è un’altra casa, tutto intorno ci sono boschi, laghi e silenzio. Per qualsiasi attività che non sia la solita passeggiata nei soliti boschi, bisogna fare almeno mezz’ora di macchina, e infatti guidiamo molto più lì che qui a Cambridge, dove, essendo una città, si raggiunge tutto molto più facilmente a piedi o in metropolitana.
Comunque, a parte queste lamentele di noi privilegiati che lasciano il tempo che trovano e danno anche un po’ fastidio, è andato tutto molto bene fino a quando è scoccato il 30 dicembre e Emma, mia figlia dodicenne, mi ha chiesto: “Quali sono i tuoi buoni propositi per il 2019?”
Mi è preso un colpo, perché so benissimo quali sono, ma siccome non sono mai riuscita a raggiungerli in passato, mi mettono molta ansia: i dieci chili sono ancora lì, belli come il sole; la palestra ormai è un ricordo del lontano 2006; fumare, fumo; bere, bevo. Malgrado molti tentativi, faccio ancora fatica a tenere i segreti che mi svelano le mie sorelle e, lo ammetto, mi piace spettegolare.
È anche vero che ogni inizio dell’anno rappresenta un’opportunità per pensare davvero a come poter cambiare, anche nelle cose piccole, alcuni aspetti della vita che possono interferire con la salute, o addirittura con la felicità. Ma è ancora più vero che se si guarda fuori dal proprio mondo, di cose da cambiare ce ne sarebbero, e tante. La politica americana è ormai passata dall’essere vergognosa all’essere pericolosa per la stabilità del globo: leggevo l’altro giorno di un lungo studio fatto da molti scienziati di tutto il mondo il cui risultato è che nel 2040 negli oceani non ci sarà più pesce, per via dell’inquinamento. Il mare, insomma, morirà. La risposta di Trump? Lui, dice, non ci crede. Per non parlare del gap tra chi ha e chi non ha niente, neanche più la speranza di una vita dignitosa: qui si costruiscono muri, si blocca il governo federale pur di non fare entrare persone che vivono nella disperazione. Uomini potenti, indagati e (alcuni) incarcerati sono a capo di un governo terribile che decide per noi. Altro che smettere di fumare, mi dico la notte del trenta, quando tutti dormono e io sono ancora sveglia, coricata nel mio letto a fissare il soffitto.
Ci sono cose che si possono fare, magari piccole e forse anche poco efficienti, per dare un contributo al cambiamento del sistema: mia mamma, per esempio, una volta la settimana prende due autobus per fare la volontaria per le persone senzatetto. Alcuni scelgono una causa per loro importante e trovano modo di coinvolgersi in alcune associazioni per offrire una seppur piccola collaborazione: c’è chi fa a maglia dei cappellini per i neonati che stanno nelle incubatrici, chi telefona al proprio rappresentante della zona o della regione per spronarlo a cambiare alcune regole malsane, chi porta il pranzo a casa delle persone anziane, chi aiuta a costruire sedi per chi ne ha bisogno, chi si occupa di cani randagi. Insomma, a voler vedere non ci sono neanche tante scuse per non provare a essere coinvolti in qualche associazione non profit per dare una mano.
Ma poi il 31 mi sono svegliata e, dopo diverse settimane, mi sono pesata: eccoli lì, i dieci chili in più. Cosa faccio, chiudo un occhio? E la palestra? Quando ci andavo regolarmente, mi sentivo meglio, soddisfatta e anche più felice. Torno in sala, dove il caminetto è già acceso e vengo assalita dall’inconfondibile profumo della colazione americana. Se c’è una cosa che da questa parte dell’oceano fanno bene, è la colazione. Mi siedo a tavola e infatti Dan ha preparato i famosi pancakes, un cibo ipercalorico mai nominato in nessuna dieta al mondo, ma impossibile da resistere perché è troppo delizioso. Di fianco ai pancakes, delle fettine di bacon, lucide di unto eppure invitanti. E adesso, cosa faccio: mi mangio lo yogurt probabilmente scaduto e acido che c’è in fondo al frigo con il resto delle cose ormai andate a male? Potrei mai far rimaner male il mio maritino, che si è svegliato prima per preparare tutte queste buone cose per me? Sarei maleducata!
Quindi affondo i miei pensieri e la mia forchetta nei pancakes, e penso che magari nel 2019 potrei esplorare il mondo dello yoga. C’è uno studio proprio di fianco alla palestra. Magari chiamo anche quel centro che si occupa di bambini senzatetto.
Domani chiamo, giuro.