La mostra Igloos, curata da Vicente Todolí in collaborazione con la Fondazione Merz di Torino, raccoglie per la prima volta trentuno igloo di Mario Merz, ospitati dalla Fondazione Pirelli Hangar Bicocca
Nell’immenso spazio delle Navate di Pirelli Hangar Bicocca si estende a perdita d’occhio una sorta d’insediamento nomade composto da tante costruzioni disseminate che delineano un territorio immaginario, fuori dal tempo e che, come prima impressione, sembrano far eco proprio ai dibattiti politici contemporanei sulla precarietà, la migrazione e il diritto alla mobilità.
La mostra Igloos, curata da Vicente Todolí in collaborazione con la Fondazione Merz di Torino, raccoglie per la prima volta, grazie a importanti prestiti museali, trentuno igloo di Mario Merz (Milano, 1925-2003), il più vasto numero finora raggruppato all’interno di un’unica esposizione. Igloos viene pensata come prosecuzione e ampliamento della storica mostra curata da Harald Szeemann nel 1985 alla Kunsthaus di Zurigo, in cui i diciassette igloo realizzati fino a quel momento erano disposti a creare quella che Szeemann definì una “città irreale”. In entrambe le mostre, a Zurigo e a Milano, elemento fondamentale è la volontà di accostare gli igloo, esposti tutti insieme, uno accanto all’altro, come facessero parte di un unico ecosistema, in modo da generare associazioni inaspettate che rivelano allo spettatore l’aspetto forse più visionario della ricerca dell’artista.
Mario Merz, uno dei membri più anziani del gruppo dell’Arte Povera, dedicò con estrema lungimiranza gran parte della propria vita a sviluppare il tema dell’igloo, concepito come archetipo dello spazio abitato dall’uomo e allo stesso tempo paradigma di precarietà, struttura elementare e primordiale capace di racchiudere un forte valore simbolico. Il motivo della spirale, “simbolo del tempo, espansione del centro verso la periferia”, espressione del movimento e della progressione cosmica, più volte indagato da Merz, viene ripreso e sviluppato attraverso l’igloo in una forma plastica e installativa.
Gli igloo, realizzati a partire dal 1968 con materiali vari che vanno dall’organico all’industriale (lastre di vetro, granito, catrame, juta, fascine, metallo, ma anche portiere di automobili, macchine da scrivere e luci al neon etc.), sono riconfigurati in stretta connessione con lo spazio espositivo, utilizzando materiali ed elementi diversi per ciascuna costruzione. Alcuni di essi e tra questi Igloo di Giap (1968), Objet cache-toi (1968), If the hoar frost gripthy tent Thou wilt give thanks when night is spent (1978), sono corredati da frasi trascritte al neon in cui l’impiego di versi poetici o motti socio-politici, che risentono del clima culturale di quegli anni, emana una straordinaria forza narrativa e rivela una dimensione politica, sociale e culturale che fin dall’inizio ha contraddistinto la vita e l’opera di Merz. In altri casi, invece, con un ramo spoglio che cresce all’interno della calotta e fuoriesce verso l’esterno (Acqua scivola, 1969), o trafitto da una lancia (Zeus Lanze, 1995), l’igloo costituisce un filtro tra lo spazio esterno della realtà e quello interno dei processi mentali e diventa metafora della relazione tra spazio fisico e spazio concettuale.
La fragilità di queste strutture, spesso realizzate attraverso l’assemblaggio di materiali precari o di uso quotidiano, favorisce una riflessione sulla precarietà della condizione umana e della vita contemporanea. Lo stesso Merz riconduce la genesi di queste opere all’”epoca molto provvisoria” in cui viviamo e concepisce l’igloo come paradigma architettonico del “senso del provvisorio” che ci pervade. La riflessione sullo spazio e sui principi architettonici è aspetto cruciale in tutta la poetica di Merz, il quale definisce la storia dell’architettura come “storia dell’uomo attraverso il tempo; da un lato, una storia di costruzione e affermazione del proprio dominio sulla natura (dalla capanna alla città), dall’altro, una storia di distruzione e di rovina…” e si pone spesso interrogativi sulla nostra esperienza dello spazio abitativo, fino a materializzarli fisicamente negli igloo e nelle parole scritte con il neon: Le case girano Intorno a noi o noi giriamo Intorno alle case? (1994).
La concretezza della materia con cui sono realizzati gli igloo pervade lo spazio della mostra e racchiude in sé una delle tematiche forse più care alla ricerca di Merz: l’idea del riutilizzo e della trasformazione accompagnata dalla visione della realtà come progressione dinamica, in costante trasformazione, in cui ciascuna cosa, oggetto o elemento continua ad esistere, assumendo di volta in volta nuove forme e configurazioni. Spazio e tempo vengono esplorati da Merz seguendo le ricerche sulla successione numerica Fibonacci (1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21 e così all’infinito, in cui ogni numero è la somma dei due precedenti), schema matematico che racchiude in sé l’elemento della progressione e rappresenta per l’artista la proliferazione magica racchiusa nella materia, determinante in molti dei processi naturali.
Così il complesso di igloo visibile all’interno di un unico spazio espositivo dà vita a una “cartografia nomade” davanti alla quale si ha la sensazione di assistere a un sistema di energie vitali che si espande ciclicamente su tutti i livelli, dalla quotidianità della vita umana fatta di piccoli oggetti concreti, alla storia e alla politica determinata dalle tensioni sociali, fino alle forze naturali che governano le forme organiche della natura e del cosmo.