Possedere le fonti vuol dire avere il potere più grande di tutti: riscrivere la Storia. O, per lo meno, ritoccarla a proprio piacimento. Una impresa impossibile? Non per l’ambizione di Napoleone, che dal 1809 sguinzagliò i suoi a caccia per l’Europa, con il compito di deportare a Parigi gli archivi del sapere occidentale. Un saggio di Maria Pia Donato racconta il più folle e lungimirante dei progetti di Bonaparte: impadronirsi della memoria collettiva.
Questa è la storia del sogno di Napoleone di dominare, insieme al mondo, anche il sapere universale, requisendo a partire dal 1809 gli archivi del Sacro Romano Impero e del Vaticano e, successivamente, quelli di tutti i paesi prima liberati dalle monarchie assolute e poi sottomessi alla Francia sovrana.
Così racconta Maria Pia Donato in L’archivio del mondo (Laterza): la storia dell’impresa più visionaria, titanica, ambiziosa e manipolatoria del giovane corso.
Un piccolo esercito di letterati, funzionari, gendarmi, impiegati venne ingaggiato per raccogliere le testimonianze scritte della civiltà occidentale, in quella che divenne una guerra della memoria tra gli Stati travolti dalla Grande Armata di Napoleone e il suo nuovo Impero, che aveva trasformato l’universalismo rivoluzionario di stampo illuminista in controllo totalitario.
Alla stessa maniera in cui, passeggiando attraverso le sale del Louvre o della Biblioteca Nazionale, si potevano ammirare l’arte e il sapere universale, così all’Hotel de Soubise, il Palazzo degli Archivi di Parigi, si raccolsero centinaia di migliaia di registri, documenti pergamene, filzi provenienti da Roma, dalle Fiandre, da Vienna, da Torino col progetto di formare un archivio della storia universale.
Dopo la caduta di Napoleone, la maggior parte dei documenti, in modo sparso e confuso, ritornarono ai legittimi proprietari: chiuso il congresso di Vienna, con la Restaurazione il vecchio ordine veniva ristabilito.
Appartiene all’immaginario collettivo occidentale il sogno di possedere il sapere universale, di raccogliere dati su tutto: pensiamo alla Biblioteca di Alessandria, a Borges, a Saramago, a Kipling, a Dan Brown, a Guerre Stellari .
Questa utopia sembra oggi alla portata di tutti – e, in effetti, basta un clic alla tastiera del nostro computer su un qualsiasi motore di ricerca per avere a nostra disposizione tutte le fonti possibili, ufficiali e critiche, ordinate e caotiche, strutturate e labirintiche; insomma: tutto, ma proprio tutto ciò che esiste, basta sia stato digitalizzato.
Questo dato potrebbe essere un punto debole, un elemento critico; ma cosa conta questa piccola falla di fronte alla possibilità di accedere a un archivio fuori dal controllo dello Stato, disponibile a tutti i cittadini, non solo a funzionari autorizzati o a politici o a intellettuali appartenenti a un’élite come è sempre stato? Non sarebbe, questa possibilità, l’apertura verso una vera fonte di democrazia diretta?
Sembra appartenere a un passato remoto il tempo in cui i re facevano guerre per possedere i documenti che attestavano proprietà e privilegi per assicurare la propria supremazia con l’autorità della Storia.
Al contrario, ancora oggi il possesso e l’accessibilità di documenti storici è motivo di conflitto. Pensiamo banalmente alla quantità di archivi manomessi o secretati. E non si tratta sono solo di materiali politici o amministrativi reclamati dagli Stati post-coloniali o post-sovietici, che dovrebbero essere garantiti dal diritto internazionale e dalle normative in materia di patrimonio archivistico sotto l’egida dell’ONU (una conferenza internazionale degli archivi esiste dal 1950) e dell’UNESCO: ma restano ancora oggi inaccessibili prove di crimini collaborazionisti, di genocidi, di fonti delle diaspore…
Non solo i nazisti distrussero memorie e documenti, ma i furti della memoria e le devastazioni degli archivi sono pratica ancora attuale delle dittature, delle guerre, degli scontri etnici e confessionali.
Maria Pia Donato in questo libro ci fa riflettere su tutto ciò, ripercorrendo in una fantastica cavalcata come nella grande rivoluzione napoleonica la costruzione di un archivio universale abbia giustificato guerre e spoliazioni, alimentato la lotta per la supremazia e sia stato strumento di dominazione simbolica e culturale.
Perché l’archivio del sapere pone ancora le basi e fornisce gli strumenti per recuperare identità soggiogate, storie dimenticate, per costruire la Storia su nuove, molteplici fonti, meno manipolate e oscurate.