Diario americano: la campagna di Emma

In diarioCult, Weekend

Una scuola media pubblica a Cambridge, Boston: maggioranza di studenti e professori non bianca, valore guida la giustizia sociale. I ragazzi sono chiamati ad identificare un problema e a farne una campagna. Quella scelta da Emma ha per titolo Women have a voice…

Quando mia figlia Emma era in quinta elementare, molte delle mamme della sua classe sembravano preoccupate per il salto che i ragazzi avrebbero dovuto affrontare l’anno dopo, quello dalla piccola scuoletta elementare della zona, Morse, alla scuola media della zona, la cui reputazione sembrava essere orrenda. La nuova sede, costruita qualche anno fa, è bellissima: sembra un museo di arte contemporanea, un po’ di cemento e un po’ colorata. Dentro, ci sono laboratori di ogni tipo, due palestre, tre biblioteche, una mensa enorme. Ogni aula, invece di una lavagna, ha un proiettore; ogni ragazzino ha un computer, le aule sono molto luminose, e l’esterno, dove i ragazzi escono durante la ricreazione, è fantastico. È per lo più frequentata da studenti non bianchi: la maggior parte è nera, ma ci sono anche tanti ragazzi di origine indiana, mediorientale, ispanica. La stragrande maggioranza degli insegnanti è nera, giovane e piena di energia. Il preside è un rapper; la vicepreside, una donna asiatica sempre con il tailleur. Alle mamme della Morse tutto questo intimidiva un po’: le voci che giravano erano abbastanza allarmanti, soprattutto quelle riguardo i problemi disciplinari e il frequente cambiamento di insegnanti. Alcune mamme, le più abbienti, hanno preferito pagare una scuola privata pur di mandare le loro bambine in un posto tanto infimo.

Ammetto che anche io e mio marito, dopo aver ascoltato i racconti di alcune mamme, eravamo scettici, ma siccome non siamo abbienti e siamo estremamente convinti che le scuole pubbliche vadano frequentate sempre e comunque, Emma ha iniziato a settembre, piena di curiosità e di entusiasmo. A gennaio era già la vicepresidente del comitato studentesco.

La prima cosa che si nota entrando nella scuola è una lunga striscia di bandiere da tutto il mondo, alcuni poster di Malcom X, Martin Luther King, Malala Yousafzai, Ghandi. I cartelloni appesi nelle bacheche dei corridoi ricordano agli studenti i vari servizi offerti a scuola: gruppi di supporto per chi è gay o transgender, programmi di volontariato che i ragazzi sono obbligati a fare per non essere bocciati (sette ore al mese), cosa fare in caso di bullismo.

Ogni scuola di Cambridge è caratterizzata da un valore principale che i ragazzi devono tenere presente e gli insegnanti devono cercare di includere nelle lezioni. Per esempio, quello della Morse era di perseverare sempre, un’altra scuola è la creatività o la fratellanza. Per la scuola di Emma, il valore principale è la giustizia sociale: ogni studente deve fare un corso in cui scegliere un tema sociale che affligge la comunità, creare una campagna all’interno della scuola di sensibilizzazione al problema, raccogliere dati e statistiche su come la campagna è andata, e trarre delle conclusioni. Emma ha scelto un tema sulle donne, e ha chiamato la sua campagna WOMEN HAVE A VOICE. Ha fatto dei cartelloni da mettere nei corridoi delle scuole, chiedendo agli studenti di firmare se d’accordo con l’idea che le donne devono essere ascoltate; ha creato un simbolo da mettere su una bandiera e sulle calamite che ha fatto circolare per la scuola e delle magliette. Ha raccolto i dati della sua campagna (contato le firme, il numero di calamite in giro, il numero di studenti che hanno indossato una maglietta) e ha fatto un grafico. Siccome Emma è particolarmente entusiasta, ha deciso di portare la sua campagna al di fuori dei muri della scuola. Ha mandato un’email al sovrintendente delle scuole pubbliche della città di Cambridge per chiedere di essere ricevuta. La sua proposta è di mettere per un giorno le bandiere femministe al posto di quelle americane in tutte le aule delle scuole pubbliche. Incontrerà il sovrintendente alla fine del mese per discuterne. Ha anche contattato il sindaco per chiedere di mettere la bandiera fuori dal Comune, sempre per un giorno.

Parlo di Emma perché è mia figlia, ma altri studenti hanno fatto cose altrettanto interessanti. I ragazzini delle medie, che di solito sono entusiasti solo di Youtube e di scarpe dell’Adidas, in quella scuola hanno l’opportunità e il dovere di pensare agli altri, a chi ha bisogno di supporto, a chi non ha voce in capitolo, a chi è messo da parte.

Oggi, Emma ha una riunione con Mirko Chadron, il preside, per proporre un’altra iniziativa: creare delle bande nere che gli studenti possono indossare attorno al braccio il 14 febbraio, anniversario della strage alla Parkland High School della Florida. Cosa faranno il 14 febbraio le sue amiche nelle scuole private? Si manderanno i bigliettini di San Valentino?

Secondo me, sì.

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