Interno Poesia pubblica una antologia di dodici poeti italiani nati tra gli anni Ottanta e Novanta: li racconta Giulia Martini, la curatrice della raccolta, che ha individuato in loro resistenza e una singolare propensione a un attivismo non contemplativo. La presentazione nel programma di Book Pride.
Nella polifonia di voci che contraddistingue la letteratura del nostro tempo, per compiere un gesto antologico, per trovare una rosa di poeti che assurga a simbolo della generazione presente, occorre essere politici. Perché non c’è scelta che non sia moralmente connotata, che non abbia in sé il germe di una rivoluzione, seppure in questo caso da intendersi come una rivoluzione antologica, dunque floreale.
Se poi il gesto arriva da chi di quella generazione fa parte, allora l’atto di nominare si traduce nel palesarsi di una direzione. Una direzione che è generazionale, ma anche individuale, dove le poetiche si manifestano nella loro diversità di metri e discorsi, legittimando un percorso antologico, quanto esistenziale.
In questo senso si colloca il primo volume della nuova antologia, edita da Interno Poesia, Poeti italiani nati negli anni ’80 e ’90, a cura di Giulia Martini, classe 1993, che verrà presentata ufficialmente a Book Pride sabato 16 marzo, alle 16, in sala Melville alla Fabbrica del Vapore.
A comporre il florilegio scelto sono dodici autori, tutti nati tra gli anni ’80 e ‘90, con testi editi e inediti: Maria Borio, Clery Celeste, Damiana De Gennaro, Manuel Giacometti, Anita Guarino, Giovanni Ibello, Demetrio Marra, Dimitri Milleri, Bernardo Pacini, Eleonora Rimolo, Damiano Sinfonico, Francesco Vasarri.
A raccontarci la genesi del volume è la parola di Giulia Martini, che nell’incontro con i dodici antologizzati ha trovato il senso della generazione, dove all’orizzontalità della selezione corrisponde una verticalità nei rapporti umani, come se ci fossero due movimenti perpendicolari a sostenere il peso di un’operazione complessa e audace, che ha a che fare con un desiderio di ordine nel disordine, ma che è soprattutto un tentativo estremo di resistenza al prosaico. È la difesa strenua di uno spazio luminoso e costantemente minacciato: la poesia.
Perché compiere il gesto antologico?
Intanto, per mettere un po’ di ordine (senza la pretesa che questo ordine sia l’Ordine – vale a dire, stabilire o proporre un canone). Il primo gesto che impariamo a fare è quello di separare le cose del mondo, la luce dal buio eccetera. Il gesto antologico va oltre, è una separazione all’interno di una separazione (per esempio, alcuni poeti fra tutti i poeti italiani nati in un certo arco di tempo). Il senso di quest’operazione, diciamo di questo sottoinsieme che è l’antologia, oltre a creare un necessario dinamismo tra ciò che viene incluso dentro e ciò che invece rimane tagliato fuori (secondo un criterio che sarà di volta in volta giustificato), non differisce molto dal senso per cui nei laboratori si fanno le analisi a campione e si sceglie di puntare una lente d’ingrandimento su un pezzo di materia rispetto a tutto il resto della materia. Si tratta anche di una questione di praticità: in un contesto più specifico sarà più facile individuare una regola e poi, di lì, tornare al contesto generale e cercare di applicarla, vedere se funziona.
Qual è il fil rouge che tiene insieme i dodici antologizzati?
Il fil rouge, se c’è, l’ho individuato a posteriori, dopo aver raccolto e assemblato le sezioni: mi sembra che tutti e dodici gli autori, sia pure in modi e stilemi estremamente diversi tra loro, tentino di individuare e riprendersi un proprio spazio personale in un contesto di disgregazione e di mancanze (di qualcuno, di risposte). Ho cominciato a interrogarmi su questo punto dopo essermi accorta che tutti accennavano, nei loro testi, a dei mezzi di trasporto (anch’essi estremamente diversi tra di loro, da una ruspa a un’arca). Naturalmente non avevo imposto nessun tema: è stata una comunanza individuale, di cui nemmeno io mi ero accorta, in prima battuta. Quindi mi sono chiesta, perché ci sono così tanti mezzi di trasporto, cosa indica questa volontà o questa allusione allo spostamento? E mi sono accorta che spesso la direzione era quella di un ritrovarsi dopo che qualcosa aveva minato le basi dell’identità. È una particolare forma di resistenza a distinguere queste voci dalle generazioni che le hanno precedute.
Nel lavoro di ricerca che precede l’antologia, come avviene il “riconoscimento” degli autori?
Come ho già avuto modo di dire, non c’è stata una “tecnica dell’incontro”, ogni autore è passato da un’apertura diversa. Nell’economia ristretta di dodici poeti, il fatto che ben quattro, cioè un terzo, siano fiorentini o comunque afferenti a Firenze – la mia città – la dice lunga sulla genesi e sul principio ideologico di questo lavoro: l’idea di un continuo scambio e confronto sui testi, di un incontro tra persone che hanno voglia di ascoltarsi. Altri autori li ho conosciuti in occasioni di reading o di festival, per passaparola e in altri casi, banalmente, su internet. Per tutti, però, si è trattato di un riconoscimento immediato.
Nella prefazione parli di lotta, propensione, di attivismo non contemplativo. Come può la lotta tradursi in un “tornare a casa”?
Guarda per esempio l’Odissea: tutta la storia di Ulisse è una lotta per tornare a casa.
Book Pride 2019: ogni desiderio