Il lavoro di Jacopo Gassmann sul testo di Juan Mayorga è alla base della produzione più interessante di questa stagione del Piccolo Teatro
Il ragazzo dell’ultimo banco, il testo dello spagnolo Juan Mayorga, un affermato autore della drammaturgia europea fuori dalle convenzioni ma credente nella forza e forma della parola, è la produzione più interessante di questa stagione del Piccolo Teatro.
Nella sua struttura ad incastri, a vortice, a Vertigo hitchcockiana, evoca molte fascinazioni cinematografiche-letterarie certo fondamentali nell’ispirazione registica del giovane (rispetto al resto della famiglia) Jacopo Gassmann che del 50enne Mayorga è, in Italia, il fedele complice avendo già allestito una delle sue venti produzioni.
Da questa commedia, in cui torna felicemente al proscenio la classe borghese spiata nelle sue patologie e nel suo fascino discreto, diceva don Buñuel, François Ozon aveva anche tratto uno dei suoi film, bello ma non il migliore, Nella casa, dove si virava verso la morbosa suspense.
La casa è parte importante nella commedia e nel geniale impianto scenografico di Guido Buganza che taglia in verticale con un binario il teatro Studio Melato (fino al 18 aprile) e su cui scorrono, appunto, le due case parallele e complementari, un po’ come in Uomini e no. Quella tappezzata di libri del professor Germàn, attratto e curioso al quadrato delle curiosità di un suo allievo, Claudio, che scrivendo i suoi temi come un romanzo in fieri entra nella privacy del compagno di classe Rafa e della sua famiglia, cioè l’altra casa, quella più tradizionalmente borghese, con pochi libri ma arte scelta e costosa alle pareti.
Una specie di Teorema pasoliniano che non arriva a cristologie, si ferma sull’orlo senza dare una definitiva risposta, fuorché il sospetto che scrivere sia comunque operazione sadomaso che porta celebre infelicità. E infatti alla fine, registicamente, i personaggi siedono intorno alla scena come per tirare le somme, operazione impossibile. Tentano invano di stabilire confini e bilanci tra l’energia vitale del quotidiano e il desiderio di fermare l’esistenza su un foglio di quaderno che diventa nel migliore dei casi la pagina di un libro o l’arma di una sopraffazione anche intellettuale se non fisica.
Attorniato da una moglie curiosa, il professore sta al gioco e anzi lo spinge in avanti non sa bene verso cosa, mentre i ragazzi barattano i loro saperi oppositi, le famose due culture di cui parlò una volta per tutte, tanti anni fa, Snow.. E c’è pure l’altra madre con cui il nostro Claudio ha una specie di infatuazione inadatta alla sua età e alla sua preparazione nella materia sentimentale come siamo tutti.
Vedendo lo spettacolo, che parte come un treno e non si ferma mai anche quando frenate e accelerazioni entrano in un gioco delle parti patologico, vengono in mente scatole cinesi, ispirazioni altrui, memorie di cose viste o lette, coreografie intellettuali in grande come “La vita: istruzioni per l’uso” di Perec, che non a caso spiava tra gli abitanti di un condominio, moltiplicando la traiettoria di Mayorga.
Specchi e riflessi, senza nominare il nome di Borges invano, ma pensandolo. L’autore è drammaturgo, matematico e filosofo, mescola quindi ragioni di vita diverse, l’importante è non sottovalutare mai le schegge di follia che entrano anche per caso nella nostra orbita vitale: il gusto del “Ragazzo dell’ultimo banco” è proprio in quel suo doppio farsi davanti a noi mentre gli attori lo recitano e gli spettatori si portano a casa un’impressione che va sedimentata, ripensata, coccolata, poi magari anche rigettata. C’è un’ombra di thriller: cosa vorrà mai quel ragazzo dal suo compagno di scuola? Perché vuole entrare a far parte della famiglia?
C’è qualcosa sotto oltre allo scandalo sentimentale? La famiglia gioca allo scoperto e perde allo scoperto. Claudio, l’ospite che suona alla porta non atteso, come in tante occasioni abbiamo visto, è prima accettato con curiosità, poi usato e infine cacciato. Così la famiglia si ricompatta nel senso comune dell’ipocrisia; ma attenzione che i fallimenti sono evidenti, i due padri (il prof. è equiparato) sono in panne come singoli e come generazione ed anche le madri, con diverse esternazioni. Quindi l’ombra anche dell’Affabulazione pasoliniana esiste (e la famiglia Gassmann ne sa qualcosa con Vittorio e Alessandro sul palco), ma Mayorga dispone il sudoku solo per avvertirci di una situazione di fatto, senza pretese sociali o di denuncia, ma prendendo il meglio da questa crisi, cioè il gusto di osservarla e di raccontarla, anzi tramandarla.
Non ci sono gessi, banchi e spugne o lavagne, come nei film dèmi hard all’italiana, tutto è metaforizzato ma non alla Beckett, la commedia conserva infatti intatto e valorizza il tesoro delle parole e del loro fondamentale accostamento. La curiosità del pubblico si focalizza e cambia direzione ma è un tutt’unico che abbiamo di fronte, un pezzo di società in cui certamente possiamo, volendo, rispecchiarci.
Non è un problema di età. Il teatro è un’arma da scasso per andare oltre e infatti la regìa di Gassmann riesce a penetrare ora gentilmente ora con violenza nelle infinite pieghe di questo testo (c’è anche Pirandello ma diamolo per citato una volta per sempre), recitato come un ping pong grottesco, interrogativo, con tentativi di mediazioni melodrammatica tutta fra virgolette, quindi con le antenne tese a sentire ad auscultare le infinities ronconiane, il fascino dei numeri immaginari (si parla anche e molto di matematica, sempre in funzione virtuale).
Il cast è ricco di sfumature, psicologie e intelligenze contrapposte con classe: Fabrizio Falco è l’infelice aspirante scrittore che guarda la vita e rischia di non guardare se stesso, Danilo Nigrelli è il prof. ma in realtà una specie di padre che ci fa cadere nella trappola, la pericolosa curiosità della vita altrui che ogni giorno ti presenta una lista e un conto diversi ti stupisce sempre anche suo malgrado con sorprese (Svevo). E intorno gli altri sono tutti importanti, le tentazioni femminili opposte di Pia Lanciotti e Mariàngela Torres, il vero padre Pierluigi Corallo e il compagno Alfonso de Vreese che viene da una “covata”, 2017, particolarmente fruttuosa della scuola del Piccolo.