Sollima fa “cantare” Dvořàk. E incanta il pubblico della Verdi

In Musica

Un brano e tre bis e il pubblico va in delirio. A esibirsi all’Auditorium, diretto dal finlandese Hannu Lintu, è il violoncellista italiano più amato. Un’esecuzione struggente la sua del Concerto per violoncello e orchestra op. 104 del compositore boemo

Sembrava che gli applausi entusiastici non dovessero finire mai al concerto di chiusura della stagione dell’orchestra de LaVerdi di venerdì 14 giugno dove il direttore finlandese Hannu Lintu ha eseguito Le Sacre du Printemps di Stravinskij e, con Giovanni Sollima in veste di solista, il Concerto per violoncello e orchestra op. 104 di Dvořàk.

Ecco dunque un maestoso brano di fine Ottocento, con cui chiudere simbolicamente la stagione, e il primo grande pezzo del Novecento per guardare con le migliori speranze a quella futura. Certo, anche senza ricorrere alla cabala si è capito subito che il programma era di notevole interesse e, rispolverando brani così tanto venerati e raramente eseguiti, intrigante. A rendere questa esperienza straordinaria, poi, ha contribuito in larga misura lo spirito che Sollima ha portato sul palco, il suo amore per fare musica che ha incantato l’uditorio.

Non ci sarebbe nulla di sorprendente allora se la maggior parte degli ascoltatori fosse al concerto proprio per godere dell’ospite solista d’eccezione. Giovanni Sollima infatti ha dovuto proporre ben tre bis prima di poter lasciare il palco, salutando un pubblico per metà stupito e per metà elettrizzato dalla sua bravura come musicista non meno che dal suo travolgente carattere. Ma andiamo con ordine: prima di tutto con l’ottima interpretazione del concerto di Dvořàk. Giacomo Manzoni, nel suo Guida all’ascolto della musica sinfonica, parla del compositore boemo come di uno dei musicisti più amati dal pubblico. Brani come il Concerto per violoncello e orchestra fanno capire perché Brahms e Hanslick avessero insistito per concedere una borsa di studio al giovane Dvořàk, permettendogli così di dedicarsi esclusivamente alla composizione.

Fin dalle prime frasi dell’Adagio Sollima fa cantare il suo strumento con una dolcezza struggente, che ha trovato un naturale esaurimento nei lunghi trilli finali, accompagnati dai delicati commenti dell’orchestra. Il Si minore del terzo movimento è nostalgico e malinconico nonostante l’inizio apparentemente marziale sia affidato agli archi più gravi; in quest’atmosfera brahmsiana il solista riesce ancora vincitore, tirando fuori dalle sue note un’interpretazione passionale e ricca. Con il procedere del movimento sembra che la malinconia faccia posto a una pacificazione con il dolore, un’accettazione liberatoria che solo la musica può far esperire senza proferire nemmeno una parola. Sollima suona con gli occhi chiusi, fa smorfie, ondeggia sul suo sgabello: sembra che la musica sia per lui un’esperienza fisica, che lo coinvolge completamente, e noi con lui. È bello contemplare l’umiltà con cui la musica e i suoi interpreti si esprimono e ci parlano senza avere la pretesa di dire nulla di preciso: non ci sono verità assolute dietro queste note, soltanto domande senza risposte e la possibilità di crescere riflettendo su di esse.

Quando Sollima inizia a impostare il suo secondo bis, una canzone armena da suonare accompagnato dagli archi dell’orchestra, i presenti in sala si lanciano sguardi sconcertati e divertiti dalla spontaneità che il musicista porta sul palco. Da questa naturalezza prende vita un momento di rara intensità, in cui il canto del violoncello si innalza sopra l’accompagnamento semplice ed efficace dell’orchestra, ricordando un canto liturgico ortodosso. Gli orchestrali non possono fare a meno di sorridere con ammirazione per la bravura tecnica mostrata dal violoncellista. Ultimo bis è  un breve fandango, ironico e vivace.

Al momento di Stravinskij forse le aspettative sono rimaste troppo alte, e la seconda parte del concerto è quella che nel complesso convince un poco meno. Così dicendo però non bisogna credere a una cattiva esecuzione: in scene come quella degli Auguri primaverili (danze delle adolescenti o del Corteo dei saggi) Lintu dà prova di una direzione precisa, capace di una lettura profonda e intima. Infine, non bisogna dimenticarsi della complessità notevole di questo capolavoro e della grande quantità di lavoro che necessiterebbe per prepararlo alla perfezione. La concertazione di alcune sezioni dell’orchestra è parsa a volte poco accurata e in alcuni brevi momenti dei più intricati la confusione ha fatto capolino tra gli orchestrali: ma al di là di questi errori e sbilanciamenti si è mostrata una visione della partitura coesa in grado di far respirare la musica.

 

Immagine di copertina © CONCERTODAUTUNNO.it

(Visited 1 times, 1 visits today)