“Il Flauto magico di Piazza Vittorio”, diretto da Mario Tronco e Gianfranco Cabiddu, mescola alle immortali note settecentesche i suoni, di derivazioni assai eterogenee, che hanno fatto il successo del complesso nato attorno alla piazza più multietnica di Roma. Ma nonostante gli sfondi onirici e le buone prove degli attori/cantanti, il tentativo di sposare cinema, teatro e musica non funziona
Quando si ricrea un classico per il grande schermo, può capitare che la trasposizione venga in parte adattata a beneficio del pubblico d’oggi; certe operazioni rischiano tuttavia di snaturare completamente la natura dell’opera, rendendola inguardabile. Questo è senza dubbio il caso di Il Flauto magico di Piazza Vittorio, adattamento musical della celebre opera di Mozart, registicamente diretto da Mario Tronco e Gianfranco Cabiddu.
La storia è quella tradizionale: il giovane principe Tamino (Ernesto Lopez Maturell) viene scelto dalla Regina della Notte (Petra Magoni) per salvare la figlia di lei, Pamina (Violetta Zironi), tenuta prigioniera dal padre Sarastro (Fabrizio Bentivoglio). Tamino, innamoratosi della principessa dopo averne visto una foto, parte in compagnia del buffo aiutante Papageno (El Hadji Yeri Samb), dovendo affrontare diverse sfide e complotti lungo il percorso.
Il film è tratto da una rilettura del Flauto magico che Tronco e Cabiddu hanno portato per la prima volta a teatro nel 2009, mescolando i suoni originali dell’opera con musiche di varia provenienza eseguite della multietnica Orchestra di Piazza Vittorio: tanto che gli interpreti cantano in ben otto lingue diverse. Oltre che multietnica, l’opera è anche multimediale, in quanto mescola cinema, teatro e musica. Tutto è stato girato nei giardini di Piazza Vittorio, con un uso molto particolare dei colori del giorno e della notte, che immergono l’ambientazione in una dimensione onirica e surreale.
Non è certo, questa, la prima trasposizione cinematografica dell’opera di Mozart: nel 1975 l’aveva già adattata Ingmar Bergman, nel 2006 Kenneth Branagh la ambientò durante la Prima Guerra Mondiale. Ma a differenza dei registi sopra citati, Tronco e Cabiddu hanno realizzato un lavoro che difficilmente verrà apprezzato: il film risulta spesso noioso, con una scenografia di basso livello, e le poche scene che avevano il potenziale di divertire lo spettatore possono al massimo strappargli un sorriso anziché una risata.
Dal punto di vista registico, l’unica nota positiva è costituita da una scena divertente e piena rimandi al mondo dei videogiochi, ma per il resto questo adattamento, di natura più teatrale che cinematografica, non è all’altezza del capolavoro da cui è tratto. Anche perché l’inclusione di così tante tradizioni musicali tanto diverse tra loro, se può funzionare e avere avuto successo in altri progetti, in questo contesto crea solo spaesamento.
Dal punto di vista della recitazione le cose si fanno più sfumate: Maturell e la Zironi sono molto bravi sia come attori che come cantanti, mentre Yeri Samb interpreta bene l’aiutante un po’ scemo ma simpatico, una sorta di Arlecchino della situazione. Lo stesso non si può dire per la Magoni, ottima cantante lirica ma pessima attrice. Bentivoglio, che ha un ruolo meno importante rispetto ai giovani protagonisti, conferma la propria bravura, e non a caso è l’unico tra gli interpreti ad essere un attore prima che un musicista.
Il flauto magico di Piazza Vittorio, di Mario Tronco e Gianfranco Cabiddu, con Ernesto Lopez Maturell, Violetta Zironi, El Hadji Yeri Samb, Petra Magoni, Fabrizio Bentivoglio