Diario americano: ogni tanto, in fuga

In diarioCult, Weekend

Una fuga da casa e dalla famiglia per tre settimane. Si lavora, si passeggia e si dorme con i cani, ci si fa i bagni nel lago, si fuma in libertà. E si scopre che non solo a casa non è successo nulla e tutti sono sopravvissuti ma che anche dal falegname James fanatico di Trump c’è qualcosa da imparare

Quasi scherzando, avevo detto ai miei amici che incontro la mattina al parco con i cani, che quel pomeriggio sarei partita per la nostra casa in campagna. Da sola. Tutti, ovviamente giù a ridere. Sanno bene che ho tre figli, di cui uno, Luca, che non può stare a casa da solo. Dopo la mia battuta, abbiamo continuato a parlare delle solite cose: le palline migliori da comprare ai cani, l’incubo dell’amministrazione Trump, i dialoghi con i figli sul gender e sessualità, la bontà degli hamburger senza carne.

Tornando a casa con i cani accaldati, ho invece pensato che questa volta, avrei davvero potuto tentare la fuga: Sofia è a casa dal college, Emma non ha ancora iniziato il campo estivo, Luca arriva a casa verso le quattro del pomeriggio, e Dan alle sei. Avrei potuto pagare le figlie (questa sì, è disperazione!) per stare a casa ad aspettare il pulmino di Luca, tanto poi qualche ora dopo sarebbe arrivato Dan e avrebbe preparato la cena. Con quella voce dolcissima che si usa solo in questi casi, telefono a Dan e propongo. Spiego che a casa è un po’ difficile lavorare (anche se non è vero), e sono indietro con l’editing del libro che uscirà a gennaio. “Vai!”, mi dice senza pensarci un attimo. “Poi noi veniamo a trovarti i fine settimana!”. Con lo stesso entusiasmo che avevo da piccola il giorno prima di Natale, preparo la macchina, ci faccio saltare dentro i cani, accendo lo stereo a manetta, e vado.

Dopo due ore esatte aprivo la porta della nostra casetta di Becket. L’erba del giardino mi arrivava quasi alle ginocchia, e le due verande davanti alle entrate erano quasi marcite. Non andavamo a Becket da quasi un mese, e da fuori sembrava una casa abbandonata. Ho subito fumato in casa, cosa proibitissima, e poi sono andata a fare una passeggiata al laghetto, a dieci minuti da casa, così che i cani potessero fare la loro prima nuotata estiva. Il computer non l’ho neanche acceso, quel giorno, ma in compenso mi sono fatta un piatto di spaghetti con aglio olio e peperoncino, che a casa non piacciono a nessuno e invece per me sono meglio dell’aragosta. Birretta, serie tv, a letto con i due cani (scusa, mamma). Dal giorno dopo ho iniziato una routine che andasse bene sia per me che per le bestie: sveglia presto (verso le nove, ma ero praticamente in vacanza), passeggiata lunga con nuotatina al lago, doccia, lavoro fino alle due. Altra passeggiata, pennica, lavoro fino a quando non mi veniva fame la sera. Ho lavorato molto, sono stata ore e ore al telefono con Patricia, l’editor del libro, e con lei abbiamo riletto e corretto molti capitoli, ma ci siamo anche fatte un sacco di risate.

Poi un giorno ho chiamato James il falegname, per chiedergli di rifare le due verande, che ormai erano distrutte. È arrivato con il suo pick-up, la sua sega elettrica, tutte le sue assi di legno, la matita dietro l’orecchio, il metro, il suo pancione di chi beve troppa birra e la sua politica di ultra destra che gli fa vedere Donald Trump come un santo. Si presentava la mattina con una tazza vuota di caffè: diceva, ed è forse l’unica cosa su cui siamo andati d’accordo, che il mio era meglio di quello che vendono al negozietto in cima alla collina. Quando arrivavo dalla mia passeggiata con i cani, ci fumavamo una sigaretta insieme e parlavamo, ma senza litigare, di politica. Vivendo a Cambridge, non avevo mai incontrato un fan di Trump (qui siamo ancora agli anni d’oro dei Kennedy), e avevo deciso che siccome non avrei mai potuto convincerlo sul fatto che Trump è una disgrazia nazionale, gli facevo invece un sacco di domande sulle sue idee e sulle sue decisioni. Mi ha detto di aver comprato una pistola alla moglie, perché non si sa mai nella vita, che Trump è bravissimo perché dice sempre quello che pensa, che non crede che ci sia un disastro ecologico (“Tutte palle del governo!”), che secondo lui il Big Bang non c’è mai stato, ma è stato il Creatore a fare tutto, che Putin in fondo è una brava persona, che Obama era straniero, che Clinton e sua moglie due farabutti, come tutte le star di Hollywood comuniste, che invece di fare film, vanno in tivvù a parlare di politica. Ascoltavo affascinata e anche molto spaventata dal fatto che più del 40% degli americani la pensa esattamente come lui. Un po’ rimpiangevo la mia piccola isola democratica di Cambridge, ma devo dire che ho imparato molto dal mio amico Jim, compreso il fatto che bisogna comprare delle viti per il legno particolari, che non si arrugginiscono, altrimenti la veranda dura solo qualche anno e poi è da rifare. Quando ha finito il suo lavoro, ci siamo fatti un selfie davanti alla nuova veranda e mi ha detto: “In fondo, anche se sei socialista, sei una brava persona! Tu e mia moglie andreste d’accordo…”. Non perché lei sia socialista (e non lo sono neanch’io), ma perché tra donne ci si intende.

Sono rimasta a Becket per ben tre settimane, a lavorare, a parlare di politica, a tagliare l’erba e farmi i bagni nel lago. Sono tornata a Cambridge qualche giorno fa e ho scoperto che durante la mia assenza non è morto nessuno, la casa non si è incendiata, Cambridge è rimasta uguale identica.

L’anno prossimo, ancora.

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