Si è chiusa, un paio di giorni fa, Roy Lichtenstein. Multiple Visions, al Museo delle Culture di Milano. Ecco le nostre riflessioni su una mostra bellissima
Roy Lichtenstein si è affermato fra i più importanti esponenti della Pop Art, scrivendo la storia dell’arte del ventesimo secolo con le sue iconiche tele puntinate a fumetto, ma questa mostra conduceva a un rapporto molto più intimo con l’artista, in cui scoprire quanto in realtà sia stata vasta la sua sperimentazione e produzione e quanto breve, invece, il periodo dedicato alla rappresentazione di fumetti, che lo consacrò come Maestro indiscusso del Pop.
Ciò che si evince, e risalta in modo trionfalmente vincente, è che tutto il concept delle opere esposte fa perno sulla costante sperimentazione materica e tecnica: Roy Lichtenstein dipinge e stampa su ogni tipo di materiale, sfidandosi nella volontà di superamento del supporto e della resa.
La mostra si articola per sezioni tematiche e offre, come suggerisce anche il titolo, molteplici visioni di una ricerca estetica in cui l’oggetto diventa protagonista freddo di un’epoca legata al boom consumistico entro cui l’uomo è sopraffatto dalle cose come merci.
Così criticato a suo tempo, così geniale
Il netto cambio fra l’astrattismo negli anni ’50 e il freddo pop che in realtà pochi contemporanei dell’epoca capivano, diventa terreno di spunti e idee per l’artista, che gioca proprio con il concetto di distacco emotivo, nella rappresentazione bidimensionale meccanica e tecnicistica delle cose, come un regista nella messa in scena di un film.
Si coglieva benissimo il senso stesso di voluto distacco chirurgico nella sezione della mostra dedicata alle donne, grandi protagoniste e icone del XX secolo nelle sfere del consumo e del sociale, iconizzando lo stereotipo di donna casalinga, felice, perfetta, quasi come un’opera pop-platonica anche quando è tormentata dalle passioni per l’amato o perfino nuda, in una manciata di cliché.
Le Girls riportano grande pathos e trasporto, che tuttavia non cade mai nel romanticismo. La tensione patetica di donne raffigurate in momenti di difficoltà emotiva rimane perfettamente patinata e ancorata ai puntini Ben-Day, che diventano la sua tecnica distintiva, che predomina e domina i soggetti.
I fumetti: scoperti per caso grazie ai figli
La sezione dedicata ai fumetti, Action comica, presentava la produzione probabilmente più nota ma che costituisce in realtà un’esperienza molto breve rispetto alla vasta attività artistica di Lichtenstein.
L’impatto è così forte, oggi come allora, che aiuta a comprendere appieno la mission pittorica di Roy: deliberatamente creare una pittura “brutta, bassa” utilizzando tecniche molto alte.
I fumetti erano destinati a un pubblico poco colto, avevano una tecnica di stampa dozzinale, decisamente consona al prezzo del giornaletto e venivano considerati poco più che spazzatura.
Grazie a lui oggi, si potrebbe affermare, il fumetto ha un’importanza invece qualitativamente, artisticamente e graficamente molto alta.
Roy Lichtenstein afferma il suo manifesto Pop, rivolgendo l’attenzione a culture e cose decisamente popolari e applicandovi le migliori tecniche grafiche e artistiche, per scomporre il soggetto e restituirne un quadro in cui tutto sembra la copia di qualcosa di commerciale, ma in realtà il prodotto è qualitativamente altissimo.
“La sola cosa che tutti odiavano era l’arte commerciale e quindi era da qui che bisognava incominciare” affermerà successivamente, vincendo la sfida col suo tempo.
Fra le tecniche usate, litografia, serigrafia, rilievo, collage su pvc o carta, goffratura, stampi e ancora, tessiture, utilizzo di tessuti, fino ad arrivate a superfici metalliche o iridescenti, tipiche della fase dedicata ai paesaggi.
Il percorso si articola dai grandi formati dedicati agli arredi di interni all’eredità rivisitata di un’America che sottopelle è rossa come i suoi ex nativi, passando dal tema femminile al fumetto, fino a citare i grandi classici della Storia dell’arte e rivisitarne i principali concetti estetici e formali. Continua in un gioco di ironie, astraendo le svirgolate pittoriche dei quadri fino a farle diventare solitarie protagoniste, fluttuanti nello spazio. Indaga la sfera scultoria tramite opere in bronzo, passando per i grandi arazzi, collage tessili e paesaggi iridescenti e surrealisti.
Risulta impeccabile su ogni supporto, ironico con ogni concetto e sempre con quel dovuto distacco, quasi brechtiano, che gli permette di spaziare e sperimentare senza creare legami empatici troppo vincolanti con lo spettatore.
Lo si coglie nella serie Brushstrokes, in cui le pennellate vengono isolate e il gesto espressionista astratto si trasforma nel suo opposto: un cliché industriale in cui l’intento è quello di solidificare l’effimero così tanto da elevarlo a protagonista scenico.
Nella sezione Avant Garde riesce persino a diventare disobbediente verso la materia, decostruendo famosi temi del ‘900 in un gioco di ironie e citazionismi in chiave Pop, come si coglie in Water lilies o in Reflection on a scream, dove è difficile non cogliere la parodia verso l’Urlo di Munch.
E così Roy ci seduce con l’ironia di un grande maestro che non ha paura di scherzare e confrontarsi con l’idea sacrale dell’Arte, mette al servizio di cose “basse” e kitsch tecniche raffinate, squisite e inventa comunicazioni pop, immediate, commerciali, riproducibili.
Non riusciamo a staccare lo sguardo dai suoi puntini, dalle sue perfette forme, irretiti in un gioco di punti Ben-Day e campiture monocrome che rendono iconica l’apparente banalità del Pop.
Immagine di copertina: Roy Lichtenstein, Sunrise, 1965. Litografia offset su carta bianca leggera. 46.5 x 61.8 cm. Collezione privata, Courtesy Sonnabend Gallery, New York. ©Estate of Roy Lichtenstein