Il 9 settembre ha debuttato la mostra di Mimmo Jodice (1934) alla galleria Vistamarestudio di Milano. Giorno di première assoluta, e non solo per questa mostra: per la prima volta, il fotografo napoletano espone a Milano in galleria.
La mostra, intitolata Mimmo Jodice: Open City/Open Work e curata da Douglas Fogle, è ospitata all’interno di uno spazio di un classico edificio con cortile come se ne trovano tanti a Milano. Spazio bello ed interessante, si presta infatti a mostre sia fotografiche che di arte, non solo contemporanea.
Arrivo all’inaugurazione, il giorno dell’inaugurazione, poco dopo l’orario di inizio e già la galleria è un fermento di persone, in meno di mezzora si riempie sia lo spazio interno che quello esterno. Sono esposte 26 fotografie che riguardano gli anni ’60 e ’70 e le fotografie della città originaria (Napoli).
Con elenco alla mano comincio a guardare le fotografie. Non mi piace cominciare dalla gallery 1, un po’ come quando leggo i quotidiani inizio dall’ultima pagina, ma attraverso la galleria e, sicuramente in modo che potrebbe apparire incoerente, seguo un ordine sparso.
Mi dirigo verso le fotografie che mi colpiscono immediatamente, sto parlando di quelle fatte all’interno dell’Ospedale Pschiatrico Leonardo Bianchi di Napoli. Le persone fotografate poco hanno a che fare con quelli che la società definisce “matti”, Jodice li ritrae con garbo, gentilezza come se fossero dei passanti, passante anch’egli in un non luogo per eccellenza.
Sono immagini delicate, di uomini e donne come se fossero in posa per un istante sospeso, calcolato dall’apertura dell’otturatore della macchina fotografica di Jodice e non per restare chiusi, per un tempo indefinito, all’interno di un Ospedale Psichiatrico.
Si potrebbe parlare di indagine antropologica, di ricerca fotografica dell’essere umano, e sicuramente sarebbe tutto giusto.
Noi preferiamo dargli una connotazione poetica, le fotografie di Mimmo Jodice sono “umane”, poiché riguardano la sua personale visione dell’essere umano. Bambini, donne, uomini sono fotografati tutti all’interno di un contesto preciso: rione Sanità, volo dell’angelo a Giugliano, rione Traiano, durante feste popolari o una partita a pallone, ma sempre con il desiderio non di fotografare ma come egli stesso afferma per “vedere”.
Continuo il mio percorso a ritroso e in modo quasi immediato mi fermo a guardare Culto ritualizzato dei morti, Napoli, 1975 e nella mia mente affiora il culto delle anime “pezzentelle”, importantissimo per i napoletani: la redenzione delle anime dannate o per qualche ragione dimenticate, per questo dette pezzenti, quelle anime che per molti motivi sono rimaste imprigionate in Purgatorio e non hanno avuto l’occasione di riscattarsi in vita.
Una fotografia senza tempo, scattata nel 1975 ma più che mai attuale, se pensiamo che anche oggi andare a Napoli comporta una visita obbligata davanti al teschio posto all’esterno della Chiesa delle Anime del Purgatorio ad Arco. Proseguo per quello che sarebbe l’inizio della mostra ma, per me, è il termine e rimango sempre più convinta che le fotografie di Mimmo Jodice contengano poesia. Non è facile rappresentare una città come Napoli con le sue mille sfaccettature in modo delicato, senza essere sopra le righe, un modo di fotografare che oggi in pochi riescono a fare.
Anche l’architettura ed i paesaggi sono “visti” con lo sguardo di chi si posa lievemente. Ecco, Jodice “vede” oltre, oltrepassa i limiti temporali e quelli dello spazio trovandosi completamente a proprio agio. Noi gli siamo grati di avere condiviso il suo “occhio” con i nostri.
Mimmo Jodice: Open City/Open Works, a cura di Douglas Fogle, Vistamarestudio, Viale Vittorio Veneto 30, Milano, fino al 9 novembre 2019
Immagine di copertina: Mimmo Jodice, Ospedale psichiatrico “Leonardo Bianchi”, Napoli, 1974. Courtesy of the artist and Vistamare_Vistamarestudio, Pescara_Milano