Saverio La Ruina all’Elfo riporta i suoi indimenticati ritratti di donna offesa, e con “Polvere” racconta la dinamica della violenza quotidiana
Invidio un po’ chi non conosce Saverio La Ruina e che potrà vedere il nuovo spettacolo Polvere, che ha debuttato il 20 gennaio in prima nazionale (repliche fino al 25 gennaio, giorno in cui lo incontreremo per una tavola rotonda all’Elfo), e subito dopo Dissonorata, dal 27 al 29 gennaio, e La borto, dal 30 gennaio al 1 febbraio, tutti in una personale in programma al Teatro dell’Elfo. Li invidio perché potranno entrare nella poetica di questo autore e attore unico nel panorama della scena contemporanea e concentrarsi nelle prossime settimane sulle diverse tappe del suo lavoro. Un po’ come certi film che vorresti non aver ancora visto per rivivere le emozioni che ti hanno procurato.
Dissonorata, che ha debuttato nel 2006, racconta la triste storia di una ragazza del sud in un calabrese carico di verità, ma allo stesso tempo riflette sulla condizione della donna nel meridione, ne evoca le voci e le sofferenze. Accompagnato da una musica eseguita dal vivo, Saverio La Ruina non pretende di traverstirsi, indossa un vestitino sopra i pantaloni, racconta con la sua lingua e i suoi silenzi con gli sguardi e con le mani, una sedia, poca luce.
Lo spettacolo vinse numerosi premi, tra cui il Premio Ubu 2007 nella categoria “miglior attore” e “miglior novità italiana”.
La borto, che debuttò nel 2009, ci porta in un mondo femminile accerchiato da sguardi e leggi maschili. Anche qui c’è ironia e si riesce anche a ridere o almeno a sorridere di fronte alla storia di una ragazzina costretta a sposare un vecchio zoppo e violento.
E se i primi due spettacoli erano distanti da noi nel tempo, e raccontavano storie antiche (speriamo!), Polvere si svolge qui, ora, intorno a noi. Ed è ancora più agghiacciante. Non più solo ma accompagnato dalla brava Jo Lattari in una scena delimitata da un quadrato bianco, un tavolo e due sedie, La Ruina indaga sui rapporti di potere che si instaurano nelle coppie. Non sono due disperati, senza storia e senza futuro i protagonisti del nuovo spettacolo, ma due giovani borghesi, un fotografo e un’insegnante.
Lui ha girato il mondo, lavora per l’Espresso, conosce l’India, sembrerebbe un uomo centrato e risolto. Lei ha un lavoro, molti amici, una vita consapevole di giovane donna. Si incontrano e si innamorano. Ma presto, con piccoli cambi di rotta, inizialmente impecettibili, si instaura tra i due un rapporto sempre più ossessivo e violento.
Le scene staccate tra loro, partono sempre da un bisogno di indagare da parte di lui, di conoscere la storia e il passato di lei, la chiama amore, ma le detta regole e impone leggi. Lei accetta questi continui interrogatori per assecondarlo, per rassicurarlo, per amore, ma non bastano mai e nella scena successiva ricomincia il calvario. È un amore malato, che si trasforma in un ossessione di possesso, e arriva a mettere in discussione un episodio di violenza che lei ha subito in passato “cosa ti aspettavi alle tre di notte…” Non si assiste a momenti di violenza fisica sulla scena, a parte un accenno, forse, la “polvere” che distrugge la donna è più sottile, invisibile, mina lentamente ma inesorabilmente le sicurezze , la sua forza e i suoi desideri.
A un certo punto ero così coinvolta da ciò che stavo vedendo che avrei voluto alzarmi dal mio posto in platea e urlare alla malcapitata, di scappare, di filarsela al più presto. Mi è stato difficile tener sotto controllo la rabbia.
Il teatro di La Ruina è così, non prevede filtri, ti tira dentro, con le parole e i silenzi, il tamburellare delle dita sulla sedia, le musiche perfette di Gianfranco De Franco. Non ti lascia respiro fino alle fine. E poi, lunghi applausi.
Polvere, di Saverio La Ruina. Fino al 25 gennaio all’Elfo Puccini