Potente rilettura in dialetto di Luigi Lo Cascio che interpreta un freudiano Jago accanto all’eroe scespiriano, visto in chiave psicotica in un tragedia a sole quattro voci.
L’Otello diretto da Luigi Lo Cascio, al Teatro Strehler fino al 1 febbraio, non è quello che Shakespeare ci ha abituato a vedere, è un Otello molto più sofferto, che fa della differenza non il colore della sua pelle ma la sua impostazione militare e il genere, uomo, che lo distingue dalla moglie Desdemona, donna.
Costruito su quattro personaggi, Otello (Vincenzo Pirotta), Iago (Luigi Lo Cascio), Desdemona (Valentina Cenni) e un Alfiere-Narratore-Ragionatore (Giovanni Calcagno), lo spettacolo si articola in una costruzione narrativa che inizia con le condanne, la colpe, ricosturendo la genesi della follia di Otello in un antro cupo e fioco, dove il “lume” della ragione confligge con le convinzioni disilluse di Iago.
La lingua è quella siciliana, preferita con un’intensità arcaica e quasi mitologica, come il fazzoletto della gelosia che in Shakespeare Desdemona perde e Cassio ritrova trattenendolo con sé: qui l’oggetto ha il valore di un amuleto, un magico auspicio per la preservare la fecondità del matrimonio. La trama di Otello si fa mito, profezia raccontata da un Alfiere esterno/interno che tira le fila del discorso, introducendone i personaggi.
Sotto lo strato superficiale di un Otello geloso e possessivo si nasconde un Otello dalla personalità debole, costretto da uno Iago molto poco politico e molto più deluso dall’Amore a conservare il suo status di intransigenza da condottiero militare che ha stregato coi racconti la consorte, ma che si traducono in un solo livello d’amore, a senso unico e non aperto alla differenza.
Desdemona non è la ragazza alto-borghese di cui ci parla Shakespeare, è una donna combattiva attratta dal “Moro” perchè anch’essa cela in sé uno spirito guerriero. Il ritratto psicanalitico di Iago ne svela le più intime credenze della sua latente e manifesta misoginia, rendendolo scettico verso gli affetti, ma non per questo avvezzo ai giochi di potere che si trovano in Shakespeare.
Lo scetticismo di Iago porta Otello a devolvere le sue energie alla vendetta ed a poco a poco il conflitto si trasforma in una lotta quasi Petrarchesca, ma in negativo, con i suoi istinti omicidi ed i suoi impeti amorosi. Qui la tragedia giunge al baratro psicotico cui volge l’uomo incapace di riconoscere l’idealizzazione dell’amore, un principio che non lo proietta fuori di sé ma lo rende un oggetto farneticante e vorticoso, volto al sentiero della follia.
La perdità del senno di Otello dà la possibilità a Lo Cascio di omaggiare, oltre all’Orlando delle Chanson de Geste, anche il Pasolini di Capriccio all’italiana, trasfigurando giocosamente l’autoritario e indomabile Moro in un uomo regredito ad un bambino attaccato ai propri oggetti, sorretto dalla mano di un adulto che lo accompagna sino alla Luna per ritrovare i propri oggetti perduti e la propria ragione ormai estinta, in quel percorso della vita che la sua egoica tenacia gli ha fatto irrimediabilmente smarrire.
Bravissimi tutti gli attori, in primis Lo Cascio e Pirrotta, e davvero singolare l’interpretazione di un personaggio sanguigno, vendicativo, fragile e impotente di fronte alla Donna, soldato da una parte e bambino dall’altra, rinchiuso ermeticamente nelle sue salde convinzioni cui è incapace di uscire per accettare la differenza.