Doveva essere un documentario, questo lavoro intelligente, onesto ed efficace, che ha vinto l’Orso d’Argento all’ultima Berlinale. Poi il regista francese ha deciso di ricostruire con le buone armi della docu-fiction un caso di pedofilia diventato famoso, protagonisti un sacerdote di Lione, il cardinale suo protettore e un bambino sottoposto a molestie. Che, divenuto marito e padre felice con cinque figli, decide di rendere pubblica la sua dolorosa giovinezza. Per chiedere verità e giustizia, non solo per sé
Alexandre Guérin (Melvil Poupaud), protagonista di Grazie a Dio, il nuovo film di François Ozon, vive a Lione, è decisamente benestante, ha cinque figli ed è un fervente cattolico. Da bambino, tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta, è stato pesantemente molestato da un sacerdote. Un’esperienza che ha condizionato la sua vita, anche se non lo ha allontanato dalla fede in cui ancora si riconosce. Proprio per questo, quando per caso scopre che quel sacerdote – l’ormai anziano padre Preynat (Bernard Verley) – è tornato in città e ancora gli viene permesso di stare a contatto con i bambini, Alexandre si rivolge prima di tutto alla curia di Lione, fiducioso nella capacità della Chiesa di correre ai ripari e prendere gli opportuni provvedimenti.
Sarà destinato a rimanere molto deluso, nonostante le ripetute rassicurazioni del cardinale Barbarin (Francois Marthouret), perfetto esemplare di alto prelato ipocrita e dalla morale quantomeno dubbia, prontissimo a schierarsi (a parole) dalla parte delle vittime, mentre nei fatti si preoccupa prima di tutto di difendere lo status quo (anche quando questo significa mettersi dalla parte dei carnefici).
Proprio al cardinale Barbarin si deve la battuta che dà il titolo al film. «Grazie a Dio, parliamo di reati che sono già andati in prescrizione» ha detto il prelato nel corso di una conferenza stampa, incalzato dalle scomode domande di un gruppo di giornalisti che chiedeva ragione del colpevole silenzio che aveva per anni circondato il problema della pedofilia all’interno della Chiesa francese. Una gaffe rimasta tristemente memorabile e che ritroviamo nel film di Ozon, insieme a tanti altri dettagli (assolutamente reali) di una lunga battaglia, all’inizio del tutto solitaria e poi condotta grazie al sostegno di un’associazione – La Parole Libérée – che arriverà a contare centinaia di membri e riuscirà finalmente a strappare il velo dell’omertà.
Ozon ha dichiarato di essere a venuto a conoscenza di questa terribile storia proprio grazie al sito dell’associazione e di aver deciso di mettere il proprio talento al servizio della causa. Inizialmente, l’intenzione era quella di realizzare un documentario, poi è prevalsa l’idea di una fiction, nel tentativo di arrivare a un pubblico il più ampio possibile. In modo da riuscire a fare, in qualche modo, la differenza, prendendo posizione, scuotendo le coscienze. Un po’ com’è accaduto negli Stati Uniti con Il caso Spotlight. Un intento nobile, un obiettivo certamente impegnativo. A qualcuno potrebbe venire in mente il famoso adagio “di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno”, spesso declinato in chiave cinematografica come “non basta avere un grande messaggio per fare un grande film”.
La sorpresa, l’ottima sorpresa rappresentata da questo lavoro, premiato con l’Orso d’argento all’ultimo Festival di Berlino, è che il 51enne regista francese di Otto donne e Giovane e bella riesce compiutamente nell’impresa, costruendo un buon film, teso ed efficace, che evita le scorciatoie melodrammatiche e la facile retorica ma riesce ugualmente a emozionare. Merito di una sceneggiatura ben calibrata, complessa e piena di sfumature, priva di lungaggini nonostante la durata piuttosto consistente.
Una storia di abusi e paura, di riscoperta di sé e di ricerca di giustizia che vibra di doverosa indignazione ma non diventa mai manichea. Perché a Ozon non interessa firmare un pamphlet antireligioso, quanto piuttosto interrogarsi su un sistema complesso, com’è quello della Chiesa cattolica, dando la parola sia a chi professa ancora e sempre la propria fede, sia a chi rivendica il proprio ateismo. Sempre dalla parte delle vittime, con rispetto, onestà e pudore.
Grazie a Dio di François Ozon, con Melvil Poupaud, Denis Ménochet, Swann Arlaud, Éric Caravaca, Francois Marthouret, Bernard Verley, Martine Erhel, Josiane Balasko, Francois Chattot