Gemma, la vita è un libro. O no?

In Cinema

gemma bovery

Anne Fontaine ricrea atmosfere flaubertiane nel film tratto dallla graphic novel di Posy Simmonds: con Fabrice Luchini, sublime, e Gemma Arterton, impetuosa

Martin Joubert, cinquant’anni portati male, è il protagonista di Gemma Bovery di Anne Fontaine: ha un grande avvenire da intellettuale parigino dietro le spalle e un presente da panettiere in un paesino della Normandia. Uno di quei luoghi che sembrano di puro incanto quando ci passi qualche giorno di vacanza in estate, e vorresti non andare più via. Ma poi, appena arriva l’autunno, ti viene solo voglia di scappare, e capisci che decidere di vivere lì potrebbe rivelarsi un grave errore.

Martin Joubert, il nostro eroe dall’aria dimessa e dagli occhi stupefatti, ha fatto proprio questo sbaglio, e per sopravvivere deve ricorrere a tutta la forza della sua immaginazione, alimentata dalla costante frequentazione dei classici della letteratura. Con in testa il classico dei classici, Madame Bovary, la bibbia perfetta di chi abita in campagna e sogna la città, di chi vive la propria vita desiderando quella di qualcun altro. L’improvviso arrivo, proprio nella casa di fronte, di una coppia di inglesi dai nomi fin troppo familiari, Gemma e Charles Bovery, travolge il povero Martin, mettendo a dura prova il suo autocontrollo di maschio infiacchito che pensava di aver raggiunto la completa pace dei sensi.

Anche perché lei (la splendida Gemma Arterton) è giovane, sensuale e impetuosa, e sembra destinata a ripercorrere tutte le tragiche scelte dell’eroina letteraria di cui porta il nome. Beh, quasi… Lei in realtà si chiama Gemma, non Emma, e sembra avere qualche risorsa in più rispetto all’eroina di Flaubert. Dal punto di vista della condizione della donna, forse qualcosa è cambiato in un secolo e mezzo, e la nostra Gemma non sembra attratta dall’idea del suicidio tramite arsenico. Però, si sa, le vie del signore (e dei narratori) sono infinite…

Purtroppo è il finale, che non si può ovviamente raccontare, così beffardo e crudele, a rendere evidente il senso vero del film, il significato dell’intera operazione che la regista francese Anne Fontaine ha condotto con mano sapiente, raffinata, partendo da una graphic novel di Posy Simmonds (pubblicata in Italia da Hazard) e aggiungendo a pioggia dialoghi scintillanti e citazioni artistiche (una delle sequenze più riuscite ricrea alla perfezione l’inquieta composizione di uno dei quadri più famosi di Magritte, L’impero delle luci).

Senza svelare nulla, ci limitiamo a dire che il panettiere interpretato da Fabrice Luchini (sublime, e l’aggettivo per una volta non è esagerato) si rivela ben presto un ragno che tesse le sue tele con il piglio sicuro del narratore onnisciente, che si ritiene maestro del destino altrui, ma poi finisce col restarne imprigionato. Una rete magnifica, peraltro, perché è quella della letteratura che sempre imita la vita, che a sua volta imita la letteratura. In un gioco senza fine (e senza rete, verrebbe da dire) che infinitamente ci cattura.

Gemma Bovery, di Anne Fontaine, con Fabrice Luchini, Gemma Arterton, Jason Flemyng

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