Cittadino Rosi, quando il cinema insegna mettendo in fila i fatti

In Cinema

A 4 anni dalla morte torna Francesco Rosi, il regista di “Salvatore Giuliano”, “Le mani sulla città” e “Lucky Luciano” in un affettuoso biopic ideato dalla figlia Carolina e girato da Didi Gnocchi. Che testimonia un grande impegno civile e artistico, nei film e nelle sue parole. E in molte testimonianze

Sono parecchi i motivi di interesse per vedere Citizen Rosi, l’affettuoso e intelligente documentario diretto da Didi Gnocchi e ideato da Carolina Rosi, figlia del regista di Salvatore Giuliano e Le mani sulla città, attrice di valore a teatro, nei grandi classici di Eduardo De Filippo in primo luogo, ma anche protagonista di due film di Franco (“io lo chiamavo così”, dice lei all’inizio nel film, “era alto, maestoso, era la mia vetta”), Cronaca di una morte annunciata e Dimenticare Palermo, e in opere di altri autori di nome, da Lina Wertmuller a Jacques Deray. Sarà nelle sale dal 18 novembre.

Cerchiamo di “mettere in fila” i temi sollevati dal film su Francesco Rosi, come dicono di aver fatto le due autrici con le pellicole di “Franco” – che rivediamo non sempre in ordine cronologico, ma piuttosto per argomenti – in oltre due ore di racconto cine-biografico davvero appassionante, un catalogo di drammi italiani che ha  “sbattuto in prima pagina” e su cui ha costretto a riflettere il pubblico in 50 anni di cinema: da La terra trema di Luchino Visconti (1948), sul cui set l’allora 25enne regista napoletano fece un prezioso apprendistato da “aiuto”, imparando i primi elementi dell’arte dell’inquadratura, a La sfida (1997), quasi un film testamento in cui mette in immagini, con John Turturro protagonista, lo splendido libro di Primo Levi che racconta il suo ritorno alla vita, in tutti i sensi, dal lager di Auschwitz. 

Perché “mettere in fila i fatti”, ricordano Carolina e Didi, era esattamente il metodo di Rosi nella concezione di un’idea, e poi nella costruzione di un progetto che sarebbe diventato film: gli era indispensabile allineare gli elementi conosciuti su un tema, un personaggio (quasi sempre della vita vera italiana), per costruire poi, su quella solide basi di realtà documentata – dai giornali e da altri media, o da testimonianze direttamente verificate – una sceneggiatura che non solo raccontasse gli eventi, spesso i drammi, i delitti individuali e collettivi, ma che fosse anche l’architrave su cui basare i ragionamenti per arrivare al “terzo livello”, quello dei “mandanti” e delle cause politiche, economiche, sociali, determinati in modi più o meno diretti.

Rosi è stato davvero il grande erede del cinema politico italiano iniziato da Rossellini con i capolavori neorealisti che documentarono la realtà della guerra e quella immediatamente successiva. Infatti a quei momenti storici si è rifatto fin dall’inizio, dal primo film La sfida e soprattutto dal poco successivo (1962) Salvatore Giuliano, Orso d’Argento a Berlino, primo di una lunga serie di premi proseguita con il Leone d’Oro dell’anno successivo per Le mani sulla città a Venezia e via via fino alla Palma d’Oro 1972 a Cannes per Il caso Mattei. Nel racconto della cattura e dell’assassinio del bandito siciliano, protagonista della celebre strage di sindacalisti e braccianti di Portella della Ginestra del 1947, c’è la traccia della prima trattativa Stato-Mafia nella storia del nostro paese, che precede e accompagna la liberazione americana della Sicilia. Cosa Nostra si accordò con i comandi alleati per favorire lo sbarco delle truppe Usa rendendo quasi inesistente la resistenza dell’esercito fascista e rapida e abbastanza indolore la conquista del territorio e delle città. In cambio, a molti esponenti di primo piano dell’”onorata società” fu garantito, a volte addirittura con il ruolo di sindaco in città e paesi non piccoli, un controllo politico che era fondamentale per rinsaldare quello economico, dei traffici più o meno illegali.

Questo patto, dagli evidenti e scellerati effetti collaterali, nella ricostruzione di Rosi fu siglato da Charles Luciano, detto Lucky, leader della mafia statunitense e anche portavoce di chi comandava nella malavita in Sicilia. Tutto questo lo si vede nel film di “Franco” che porta il nome del gangster, forse un po’ sottovalutato ma invece molto significativo, anche per l’interpretazione del suo attore-icona Gian Maria Volontè, con cui ha girato in tutto cinque film a cominciare dal bellissimo Uomini contro. La più nota e recente trattativa Stato-Mafia, di cui si dibatte da molti anni, anche in seguito agli assassinii di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, entra con forza in Citizen Rosi nella voci e nelle testimonianze di molti intervistati: ma il rimando al prototipo anni 40 aiuta a capire molto anche dei fatti recenti.

Il secondo grande tema che Rosi solleva con forza è il prevalere, nel mondo contemporaneo, del potere economico, anche su quello politico. Ed è stato lui uno dei primo a mostrarlo al cinema, raccontando con grande lucidità la spregiudicata speculazione edilizia anni ’60 nella sua città natale: che si meritò l’appellativo di “sacco di Napoli” per la capacità di modificare, con l’aiuto dei partiti prevalenti, il territorio e la gestione urbana garantendo lauti guadagni a chi aveva in mano i terreni agricoli, presto trasformati in edificabili con piani regolatori approvati ad hoc, e naturalmente ai costruttori dell’epoca, in molti casi detentori anche dei suoli. I quali non mancarono poi di “ringraziare” gli esponenti della politica, o direttamente in forme economiche o sostenendo le loro campagne elettorali, in qualche caso arrivando perfino a comprare, in vari modi, i voti necessari.

Ragioni economiche internazionali sono state probabilmente alla base della morte nel 1962 del presidente dell’Eni Enrico Mattei, personaggio scomodo alle grandi aziende petrolifere internazionali per la sua capacità di interagire con alcuni giovani stati in cui si trovavano nuove (allora) aree di estrazione di gas e oro nero, soprattutto nell’Africa del Nord. Dieci anni dopo i fatti, fino a quel momento rubricati come accidentali (Mattei precipitò sul suo piccolo aereo in una notte di pioggia nei pressi di Milano), Rosi racconta in Il caso Mattei l’uomo, la sua personalità, e le sue molteplici relazioni politiche e finanziarie, avanzando l’ipotesi che dietro la sua fine ci sia stata una mano omicida. Insomma che le cause naturali non siano state davvero determinanti per la caduta del velivolo. Sostenendo quindi che ci fossero ragioni e conflitti economici, forse collegati con dinamiche politiche, alla base di tutto. Del resto è accaduto così per molti altri drammatici eventi che hanno costellato la nostra storia dal dopoguerra ad oggi, molti dei quali erano (quando Rosi girava i suoi film) e sono rimasti senza un colpevole, spesso anche senza spiegazioni plausibili di come i fatti si erano svolti. 

Nel film contano anche, per i diversi elementi che mettono in luce riguardo ai temi trattati da Rosi nei suoi molti lavori e al suo modo di raccontarli sullo schermo, le interviste a magistrati (o ex) come Gherardo Colombo, Nicola Gratteri, Vincenzo Calia, Nino Di Matteo e Giancarlo de Cataldo, a una donna impegnata in politica, Maria Rita Crisci, sindaco di Montelepre, il paese di Salvatore Giuliano, a colleghi registi come Giuseppe Tornatore, Marco Tullio Giordana a Roberto Andò, a giornalisti come Furio Colombo e Lirio Abbate, a scrittori come Raffaele La Capria (che con Rosi collaborò come sceneggiatore per film importanti, Le mani sulla città, Uomini contro, Cristo si è fermato a Eboli) e Roberto Saviano, allo storico Antonio Nicaso, all’economista Giulio Sapelli.

Poi, certo, last but not least, Citizen Rosi è anche un racconto davvero molto affettuoso che documenta un rapporto padre-figlia non privo di spigoli ma certamente sostenuto, fino alla fine, da una tensione comune e da un amore evidenti anche nella immagini di questo tenero biopic, in cui vediamo i due rivedere e discutere i film più riusciti ed efficaci di “Franco” sul divano di casa che diventa microcosmo, metafora, di una comunione affettiva, estetica, militante. E di quell’impulso a una cittadinanza attiva (da cui il titolo del film, che è anche quello di una rassegna dedicata al regista in America), che era uno dei massimi meriti artistici e civili del regista napoletano. E di cui, giustamente, andava orgoglioso. 

Citizen Rosi, film biografico di Didi Gnocchi e Carolina Rosi, con Francesco Rosi  

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