Da testata digitale ad un semestrale monografico di geopoetica. Q Code migra anche sulla carta : ‘Muri’ è il tema del primo numero di un progetto di approfondimento coraggioso
La prima parola è impegnativa, ancorché in queste settimane di anniversari molto risuonata, ed è muri. La seconda si lega alla prima, se possibile è ancora più sfidante, essendo l’identità eterna questione e, insieme, spinoso tema della nostra contemporaneità, ovunque si volga lo sguardo, dentro e intorno a noi. Insomma, ben si capisce, come dalle parti del neonato progetto di cui parliamo, le ambizioni nell’esplorare temi da far tremare le vene non manchino. Se poi si aggiunge un’altra parola che, nel mondo del giornalismo, qualcuno vuol dare per moribonda o già morta, ovvero carta, beh potrebbero dire i pessimisti che siamo dalla parti della temerarietà, mentre i fiduciosi brinderebbero ad un benvenuto coraggio.
In breve. Quello che abbiamo in mano (e che si vede qui sotto in foto) è il primo numero, dedicato al tema dei muri, di Q Code che da testata digitale con all’attivo diecimila articoli migra adesso anche sulla carta per dar forma a un semestrale di geopoetica – questa l’autodefinizione – che i direttori, Angelo Miotto e Christian Elia, hanno presentato, insieme a collaboratori e amici e ‘benedetti’ da Gianni Mura, in una serata milanese di qualche giorno fa.
Geopoetica, si è detto. La spiegazione nell’editoriale che introduce il numero e, soprattutto, spiega il progetto: “un racconto capace di guardare il mondo con gli occhi delle persone comuni, lontani da una geopolitica che ha perso qualunque senso se non è capace di interfacciarsi con la realtà. Le piccole storie sono quelle che ci raccontano il quadro generale. Le domande da porre, non le risposte, che sono di altre competenze. La complessità dove tutto si fa semplificazione”.Tutto questo, secondo i direttori e i loro compagni di strada, ha bisogno della lentezza necessaria all’approfondimento giornalistico e della concretezza di qualcosa da tenere in mano. Una rivista appunto, edita da Prospero editore (per abbonarsi www.prosperoeditore.com ) formato da libro, grafica firmata da Giancarlo Pasquali che ha saputo trovare con Miotto soluzioni riuscite e curate, la graphic novel di Enrico Natoli – cui anche noi di Cultweek dobbiamo molto – e una buona alternanza di pezzi – interviste, reportage, articoli più snelli – di diverso peso e taglio. E qualche chicca: in questo primo numero, tocca al magistrato Armando Spataro di note passioni rocckettare raccontare di musica che dà il suo contributo nell’abbattere i muri a cominciare, scrive, ‘dall’unico muro che amo, The Wall dei Pink Floyd”.
Muri dunque. Qui siamo dichiaratamente dalle parti di un giornalismo che non ha mai ceduto all’imbroglio dell’obiettività ma che ha deciso, nel rispetto della complessità, di mettersi in dialogo con sguardi differenti. E che, per esempio, sceglie di indagare l’idea che i muri siano sempre da abbattere e significhino comunque chiusura all’altro ed esclusione. ‘Buoni confini, buoni vicini’ afferma invece, in un’intervista di Gabriella Grasso, lo storico americano David Frye che spiega come, per esempio, siano i muri di crittografia a rendere abitabile e sicura per i nostri dati (quasi, si può obiettare…) la rete, che altrimenti sarebbe una sorta di terra di nessuno soggetta a scorrerie.
Muri fisici, muri mentali, muri che proteggono o recludono: dal reportage sulla rotta balcanica di Christian Elia, al carcere e alle sue architetture punitive di cui Angelo Miotto parla con Patrizio Gonnella di Antigone, al muro immaginario ma realissimo che divide in due parti un quartiere come San Siro – di qua le case popolari, di là la residenza benestante, questo primo numero riesce a mantenere ciò che promette.
Non altrettanto, si potrebbe dire, è successo con la caduta del muro di Berlino: quanto sia insidiata quella promessa di democrazia e libertà in un’Europa in cui si moltiplicano i sovranismi, di fronte alla dura sfida posta dalle migrazioni umane e davanti ad una globalizzazione che ha aumentato le diseguaglianze e stressato ancor di più il pianeta è sotto gli occhi di tutti. Come sotto i nostri occhi è il proliferare, dopo il crollo di quello che divideva Berlino, di muri e barriere di filo spinato come da copertina del semestrale. All’interno c’è la triste contabilità : 35 quelli definiti come principali (da Israele e Palestina, al muro di Trump, a quello sulla rotta balcanica), 7200 le vittime nel 2016 causate da barriere, 360 chilometri quadrati è lo spazio più piccolo al mondo delimitato da muri ed è la Striscia di Gaza. Anziché cadere, essere travolti o diventare obsoleti, i muri si sono moltiplicati e sono circa 70: secondo uno studio dell’università di Montreal nel mondo esistono oggi 40mila chilometri di barriere artificiali. Coprirebbero l’intera circonferenza della terra.
Immagine di copertina © Marco Monetti, Escape