Antonio Calenda e Nicola Fano portano in scena al Piccolo Teatro Strehler l’eterno conflitto tra comicità e drammaticità
C’è la regia di Antonio Calenda, ci sono due grandi della scena: Franco Branciaroli e Massimo De Francovich, e sullo sfondo, Falstaff e il suo servo, al Piccolo Teatro fino al sei dicembre.
Già. Non solo Falstaff: il protagonista dello spettacolo – a una prima impressione – potrebbe sembrare proprio lui, alle prese con gli ultimi giorni della vita sgangherata di un eroe tragicomico, filtrato da quattro opere shakespeariane, Le Allegre comari di Windsor, Enrico V e le due parti di Enrico IV.
Falstaff ci appare come tutti lo conosciamo: un personaggio votato a godersi la vita, gaudente, eccessivo nei modi, contrassegnato dal turpiloquio, gran bevitore, eccessivo anche nel vestire.
Avanzando nella storia, insieme ai personaggi, ci si rende conto che tutto ciò che succede a Falstaff è architettato dal Servo, una figura ideata appositamente per questa rappresentazione, che come Puck o Iago, ritiene di poter controllare la realtà.
Contrapposto a Falstaff sotto ogni aspetto, il servo, interpretato da De Francovich, risulta austero, nel parlare e anche nel vestire, ragionatore lucido e disilluso. Contraltare ideale e fondamentale nella rilettura di Calenda, qui anche drammaturgo insieme a Nicola Fano.
Dal momento che come ci ricorda Shakespeare, tutto il mondo è teatro, il servo diventa il regista in uno spazio metateatrale.
Il rapporto tra i i due non è di subordinazione come forse ci si aspetterebbe, bensì paritetico. Falstaff sembra rivolgersi al servo come mezzo per trarre le somme della propria esistenza, e dal canto suo quest’ultimo lo aiuta, lo pungola per smascherarlo.
Il tentativo è di rileggere Falstaff come archetipo teatrale che da Shakespeare passa per Boito e Verdi fino a Petrolini e poi Strehler.
Nel personaggio ci ritroviamo un po’ Faust, nel tentativo di ritornare alla giovinezza spinto dalla disperazione della vecchiaia, un po’ Don Giovanni per la pulsione erotica.
Lo spettacolo, è continuamente costellato di citazioni di altri grandi maestri del teatro italiano, dalla commedia dell’arte, con Goldoni, alla Tempesta di Shakespeare messa in scena da Strehler, nelle parti musicate e nell’essenza di grottesco che assume il potere interpretato da Falstaff si rivede anche L’Opera da tre soldi, fino ad arrivare a Totò e a Carmelo Bene, con qualche accenno anche a Eduardo De Filippo.
Franco Branciaroli è senz’altro molto abile, i continui cambi stilistici che usa sono notevoli, e non annoiano, De Francovich, come richiede il personaggio è più misurato, più asciutto anche nel parlato, perfetto nel ruolo, gli attori che li accompagnano , tutti giovani, ben si mescolano a questi due esempi di teatro, ma una domanda rimane, riesce Falstaff ad uscirne come archetipo o diventa solo il mezzo per un tributo?
Fotografie: Falstaff e il suo servo © Tommaso Le Pera / Piccolo Teatro Milano