J. J. Abrams firma il nono e ultimo episodio (“L’ascesa di Skywalker”) della serie “Guerre Stellari”, acquisita di recente dalla major di Topolino. Tra vecchi e nuovi protagonisti, eroi storici e personaggi aggiunti, Harrison Ford e Adam Driver, si perdono però il fascino visivo e l’impatto emotivo: succede troppo e troppo in fretta, lasciando una sensazione generale di scoraggiante prevedibilità
Tutto ciò che ha un inizio ha una fine, diceva qualche tempo fa il personaggio di una nota saga di film di fantascienza: concetto assai difficile da digerire per lo spettatore del ventunesimo secolo, tra cinecomics in sequenza e serie tv osannate e poi spremute fino all’inevitabile declino. A maggior ragione quando la fantascienza si sposa con il mito, riscoprendo concetti elementari e senza tempo come buoni e cattivi, luce e lato oscuro, armi fatate, maestri saggi ed eroi in fieri giovani e impulsivi. Eppure eccoci qui, la saga-mitologia di Star Wars, capace negli ultimi decenni di espandersi in lungo e in largo tra prequel, sequel e spin-off per il grande e piccolo schermo, è arrivata per l’ennesima volta (la terza) al capolinea. Ma, pur in piena ondata revival del bel cinema anni ’80 hollywoodiano che fu, mai come questa volta la rielaborazione di un classico ha suscitato un dibattito così grande, persino tra i suoi adepti più ortodossi: complici i timori più o meno fondati dopo l’acquisizione in corso d’opera del brand da parte del temutissimo colosso Disney (dimenticando forse che già nel 1983 il malvagio impero galattico era stato sconfitto da orsetti di peluche con archi e freccette), ogni passo falso del nuovo corso è stato accolto da una fetta di pubblico con la stessa apertura al cambiamento della Santa Inquisizione.
A contrastarla, carico di ingenuità e buone intenzioni, uno sparuto manipolo di attendisti, desiderosi di vedere se non altro dove giovani personaggi e intrecci andassero a parare. Ingenuamente, perché, diciamolo chiaro e tondo, Star Wars: l’ascesa di Skywalker è un brutto film, e se è vero che l’inferno non conosce furia simile a un fan illuso e poi deluso, passerà del tempo prima che J. J. Abrams possa rimettersi dietro la macchina da presa con la coscienza pulita e senza che gli fischino le orecchie. Poteva andare peggio? Forse. Poteva andare meglio? Sicuramente sì. Come da tradizione del marchio Star Wars, se il primo episodio serve a porre le fondamenta e quello di mezzo è il migliore del trittico, alla terza puntata spetta ancora una volta inevitabilmente la palma di anello debole della catena. La novità, però, è che questa volta ci dispiace un po’ di più, perché il senso di occasione persa è forte, fortissimo.
Dopo le accuse (giustificate?) di spudorato fan service ne Il risveglio della forza, Abrams, come Lucas prima di lui, aveva evidentemente fatto la mossa più saggia, un passo indietro che desse a nuove generazioni di autori la possibilità di sovvertire le previsioni, giocare coi cliché e gettare nuove basi per mille possibili sviluppi di trama e personaggi. Una scelta, la sua, sorprendentemente lungimirante, capace di regalare al grande pubblico l’ottimo Rogue One: A Star Wars Story e un episodio VIII, Star Wars: Gli ultimi Jedi che, pur tra alti e bassi, sapesse quantomeno di una ventata di aria fresca. Ma riprendendo in mano il tutto (nei panni di regista, sceneggiatore e co-produttore) giusto in tempo per il gran finale, il deus ex machina della nuova trilogia riesce invece nell’impresa di sbagliare quasi tutte le scelte, con l’ostinazione e l’autocompiacimento di chi vuole correggere a tutti i costi una rotta che invece andava già benissimo così com’era. Il risultato, fin dalle prime battute, è un pot-pourri raffazzonato e pretestuoso dove succede troppo e troppo in fretta, e in cui le sottili strizzate d’occhio agli appassionati di vecchia data lasciano il posto a una continua e scoraggiante prevedibilità. Come gli ennesimi ritorni per un ultimo giro di giostra delle vecchie star Mark Hamill, Carrie Fisher, Harrison Ford e Billy Dee Williams, sfruttate appieno negli episodi VII e VIII e ridotte qui a semplici macchiette.
La buona notizia è che, se non altro, salvo sporadiche ricadute, non c’è traccia dello humor disneyano modello I guardiani della galassia, che nel capitolo precedente faceva l’effetto delle unghie sulla lavagna. La cattiva notizia è che manca anche tutto il resto: per quanto suoni davvero assurdo, viste le premesse, Star Wars: L’ascesa di Skywalker è soprattutto un film freddo e senza idee (anche dal punto di vista visivo), un compitino da manuale che non stupisce né appassiona, neanche nei rari casi in cui ha la buona volontà di provarci anziché tirare a campare. Elementari i dialoghi, sbagliati dal primo all’ultimo i (pochi) colpi di scena, ignorati totalmente gli elementi di maggior interesse disseminati fin qui. E se qualcosa si salva, è comunque poco, troppo poco: perché Star Wars non è un film come tutti gli altri, non lo è mai stato. Che proprio Abrams, con un curriculum di tutto rispetto tra Lost, Super 8 e il remake di Star Trek, non l’abbia capito, riducendolo a mera operazione commerciale da concludere alla bell’e meglio per scappare col malloppo, è triste se non addirittura paradossale.
Persino i personaggi principali, la cui novità era uno dei punti di forza della saga, dal pilota Poe Dameron/Oscar Isaac allo stormtrooper ribelle Finn/John Boyega, fino ai jedi nemiciamici Rey/Daisy Ridley e Kylo Ren/Adam Driver, finiscono tutti quanti per annullarsi a vicenda, anziché svilupparsi quanto avrebbero meritato, guadagnandosi con lo spettatore il finale epico che sarebbe stato più che lecito aspettarsi. Spettatore a cui invece, in epoca di serialità, toccherà attendere un nuovo e migliore inizio, capace di non deludere aspettative sacrosante e traghettare nuove generazioni di sognatori in quella galassia lontana lontana di cui, nonostante tutto, non smetteremo mai di sentire il bisogno.
Star Wars: L’Ascesa di Skywalker di J. J. Abrams, con Adam Driver, Daisy Ridley, Oscar Isaac, John Boyega, Carrie Fisher, Billy Dee Williams, Mark Hamill, Harrison Ford, Ian McDiarmid