L’arte dopo la noia. La rivoluzione ironica di John Baldessari

In Arte

Si è spento nel sonno nella sua casa di Los Angeles, all’età di 88 anni, John Baldessari, artista pioniere dell’arte concettuale, ironico e sagace, ispiratore di generazioni di artisti. Il suo ruolo nell’arte della seconda metà del Novecento, dalla cremazione dei suoi primi lavori al Leone d’Oro alla Biennale di Venezia.

Ci ha lasciati, dopo una vita lunga e prolifica, John Baldessari, artista americano nato nel 1931 da madre olandese e padre evidentemente italiano, considerato tra i fondatori e tra i maggiori esponenti dell’Arte Concettuale e Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia del 2009. Un artista intelligente, debordante e assolutamente ironico, un maestro che ha saputo combinare immagini, parole e gesti con fare leggero e incursioni di grande profondità, e che ha influenzato l’arte del suo tempo e delle generazioni a lui successive, a cui ha cercato di insegnare, lui che rifiutò le pratiche artistiche del passato, l’amore per il bello.

Con John Baldassari se ne va dunque un’icona dell’Arte Concettuale. Definirlo però semplicemente un artista concettuale è forse riduttivo e potenzialmente fuorviante. Baldessari ha agito secondo i percorsi cognitivi e creativi dell’arte concettuale ma per fare qualcosa di diverso, per creare una sua struttura paradigmatica autonoma, senza poter essere risolto con la definizione di concettuale. E del resto ha vissuto, e ancora noi viviamo, in un epoca che non ha digerito del tutto, né forse potrà mai farlo, la rivoluzione copernicana del ready-made, svelamento platonico nel senso della caverna che, una volta acquisito, come l’epifania del naso storto di Pirandello non permette di tornare indietro. Una tela dipinta è ready made quanto un pisciatoio in un museo, perché socialmente e, appunto, concettualmente sono esattamente la stessa cosa, lo stesso gesto, lo stesso obiettivo, lo stesso pubblico.

Una volta che questo è assodato ci si dovrebbe lavorare, costruirci attorno, andare oltre per passare dalla relatività alle stringhe, per dire la propria in quel campo immacolato che si apre davanti a quel gesto poderoso. Ci si castiga ancora, invece, dietro pretese invenzioni e gesti dissacranti mollemente accademici. E si che lo diceva, il Duchamp: fatene pochi, di ready made, che sennò il giochino non funziona più. Cosa che in effetti, per molti, è stata.

Ma non per Baldessari! Lui il ready made lo ha fatto grosso, una volta per tutte: nel 1970, a quasi  quarant’anni, ha bruciato in un forno crematorio tutto quello che aveva fatto fino ad allora. Tutto quello che aveva dipinto, per essere precisi, tutta la sua produzione da pittore frustrato, come riporta la sua biografia. E con quelle ceneri ha fatto dei biscotti, conservando quel che ne restava in una cassetta a forma di libro tra i libri veri della sua libreria. Una botta violenta alla bocca dello stomaco, per chiunque abbia provato almeno una volta a dipingere.

Ci vuole il coraggio, oltre che la taglia, del gladiatore. Ma è stato il coraggio necessario per dare la stura alla sua creatività colta, intelligente e piena di ironia, che ha spaziato con più di 4000 opere tra performance, scultura, video, pittura, installazione e quant’altro, che ha pescato con spirito Pop dalla sua grande curiosità per la cultura, il cinema, l’arte e la letteratura, e che ha cominciato a redimersi con il suo proclama più noto, potente e desiderabile: “I Will Not Make Any More Boring Art”! Non farò mai più arte noiosa!

Allora Baldessari si mette li, alza un braccio e dice: sto facendo arte, e poi ancora, sto facendo arte. Sto facendo arte. Quel gesto, come qualunque altro gesto, come qualunque altro oggetto – rimandando al pointing duchampiano che assolutizza il gesto deittico dell’artista come matrice assoluta – è arte.

E questo è sufficiente per smettere di fare arte concettuale subito dopo aver contribuito a inventarla e, appunto, cominciare a divertirsi e divertirci, giocando con le immagini e prendendo in giro l’arte concettuale stessa. Per questo dir concettuale è poca cosa, un po’ come dare del dadaista a Duchamp.

Si, certo, ma anche tanto di più! Una volta che è stato fatto, non è più necessario ribadire che una sedia è oggetto, immagine e definizione, come fece Kosuth. Si può semplicemente notare come la punta smozzicata di una vecchia matita dia un fastidio immediato ogni volta che la si incrocia con lo sguardo, fino al giorno in cui finalmente la si tempera, per dire che quella matita è arte, che quel fastidio è arte, che l’averla temperata è arte. Si possono scoprire i puntini e piazzarli dappertutto, celando le immagini per rivelarle. Giocare con gli accostamenti di colore, con i contrasti e le armonie, e piazzarli ovunque, anche su una BMW che, tra le mani di Baldessari, diventa una sorta di antologica da corsa.

Qualche anno fa Baldessari rivelò la sua preoccupazione di star solo facendo bigiotteria per ricchi. Oggi, che siamo già nel senno del poi, sappiamo che così non è stato. Baldessari ha combattuto la noia per provare a creare un mondo nuovo. E certamente, almeno per Arte, ci è riuscito.

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