Buscadero, l’ultimo

In Musica

Unica sopravvissuta in edicola tra le grandi riviste storiche di rock. Ne ripercorriamo i fasti con Aldo Pedron, direttore alla sua nascita

La rivista musicale L’ultimo Buscadero, o più semplicemente Buscadero, nasce nel 1980 da una scissione interna alla redazione di Mucchio Selvaggio. Per entrambe le riviste il nome era stato scelto da uno dei film di Sam Peckinpah, regista, sceneggiatore e attore statunitense. Già per la scelta del nome, che voleva appunto creare una continuità con la rivista dalla quale Buscadero era nata, ci furono problemi di natura particolare. Abbiamo incontrato Aldo Pedron – direttore della rivista dal suo esordio, fino al 1992 – per fargli qualche domanda sulla nascita di questa rivista.

Come è avvenuta la scelta del titolo della rivista?
Quando è nato Mucchio Selvaggio, volevamo in realtà chiamarlo con il nome originale del film di Sam Peckinpah, cioè Wild Bunch, ma l’editore ci disse che era preferibile non usare l’inglese. Scegliemmo quindi la versione italiana, ma la conseguenza fu che in edicola molte volte il Mucchio finiva tra le riviste hard. Così, per evitare problemi simili, quando fondammo Buscadero, decidemmo di aggiungere la parola rock, per far capire quale fosse l’argomento ed evitare fraintendimenti.

Come era il primo numero?
Nel 1980 avevamo un’impostazione simile alle fanzine, anche se forse eravamo un passo avanti, c’era il colore. Uscivamo mensilmente al prezzo di 1500 lire. Nella prima copertina, nel dicembre 1980, c’era Bruce Springsteen.

La rivista si occupava principalmente di rock, musica underground e altri generi che erano considerati di nicchia, ma che nel tempo hanno ottenuto un certo successo.
Sì, parlavamo principalmente di gruppi e artisti allora emergenti. Trattavamo la musica irlandese, musica old-time, musica sconosciuta e di nicchia, underground, rock, poco cantautorato italiano. L’impostazione era data da me e da Paolo Carù e quindi il giornale seguiva un po’ i nostri gusti: io, per esempio, ho parlato del beat italiano, quindi di gruppi come Equipe 84, i Rokes, ecc. Il secondo numero parlava dei Jefferson Airplane, di John Fogerty e dei Creedence, dei B-52s, degli U2. Abbiamo trattato i Talking Heads, ma anche la scena di San Francisco degli anni Ottanta e molto altro ancora. All’epoca, purtroppo o per fortuna, facevo un po’ tutto, correggevo le bozze, cercavo la pubblicità, portavo le riviste nei negozi di dischi oltre che in edicola, seguivo i concerti e le recensioni.

Raccontando altre riviste di quegli anni, abbiamo scoperto che il futuro dell’editoria musicale all’epoca era visto con ottimismo. Si credeva che la musica avrebbe continuato a riempire le edicole per molto tempo.
Il futuro per noi era tranquillo, Buscadero aveva quella linea e andavamo dritti per quella strada, eravamo convinti che avremmo continuato così senza problemi. Tramite l’Inghilterra, ma soprattutto l’America, scrivevo ai gruppi, facevo interviste. Ci sentivamo sicuri e siamo riusciti a seguire questa strada anche se era molto difficile, ma avevamo un forte entusiasmo, molta passione.

Nella vostra critica musicale si nota una forte distinzione tra musica considerata commerciale e quella che Pedron definisce “la buona musica”.
In Buscadero non avevamo una “linea politica”; seguivamo la musica che per noi era buona. Quando, per esempio, abbiamo sentito il primo disco dei Dire Straits c’è venuto un colpo perché era bellissimo. Noi cercavamo di captare questa musica, questi segnali. La musica più commerciale noi non la seguivamo, non parlavamo di Madonna, di Michael Jackson e artisti simili.

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