Una Cina rurale, intensa, povera, tra strade piene di fango, facce grigie e vecchie caserme: è lo sfondo del nuovo lavoro del regista di “Fuochi d’artificio in piano giorno”. Due bande rivali si contendono lo spazio cittadino e il mercato dei motorini usati. Ci andrà di mezzo soprattutto il protagonista Zhou, appena uscito dal carcere. Un film serrato, di lunghi sguardi e pochissime parole, un noir perfetto
Arriva in Italia, dopo essere approdato tra i finalisti a Cannes 2019, Il lago delle oche selvatiche, film di Yinan Diao, regista di Fuochi d’artificio in pieno giorno (2014). Il titolo può sembrare strano per rappresentare un film noir, ma ha certamente più senso, almeno in italiano, dell’originale (南方车站的聚会) che tradotto letteralmente è Appuntamento in una stazione del Sud. L’ambientazione del film è una Cina rurale, intensa, povera. Non si vedono grandi palazzi, strade illuminate o negozi lussuosi. ma strade piene di fango, una vecchia caserma e facce tristi, grige. I personaggi non potrebbero essere uno più diverso dell’altro, ognuno con le sue aspettative per il futuro (inespresse) e un’apparente senso di inquietudine addosso, come a voler indicare allo spettatore che quella vita non se la sono scelta ma devono tenersela stretta.
Il lago delle oche selvatiche è violento, crudo. I protagonisti di cui sopra sono quasi tutti delinquenti, fanno parte di due bande rivali che si contendono il territorio cittadino allo scopo di rubare motorini. In una scena, il capo fa vedere a tutti come lo si fa nel modo giusto, per non essere pizzicati dalla polizia, indicando quali sono le zone da coprire e chi lo deve fare. Tra loro c’è anche Zhou, appena uscito dal carcere. Subito si trova immerso in questa rivalità e finirà con l’esserne vittima e carnefice allo stesso tempo.
Come spesso accade per i film orientali, però, la trama in questo caso è poco importante, passa in secondo piano nel momento esatto in cui si vede la prima immagine sullo schermo. Quello di Yinan Diao, infatti, non è un film, bensì pura poesia recitata da uomini violenti e stanchi. È la rappresentazione letterale di un mondo a noi sconosciuto che diventa realtà quotidiana nella Cina rurale. È un’immersione ASMR nella storia, non ci sono musiche, non ci sono parole (o meglio, sono pochissime) ma solo attesa, suspence. È talmente immersivo che si sente il rumore della pioggia battere sul marciapiede, il tac dell’apertura delle bacchette di legno per mangiare gli spaghetti, il respiro affannato di un uomo che corre.
Inizialmente può sembrare un film lento, ma se lo si osserva meglio si potrà notare che lo spettatore viene accompagnato in ogni singolo istante della storia di Zhou dal momento in cui esce dal carcere. Probabilmente se Diao avesse ripreso anche le sue poche ore di sonno facendo durare il film sei ore invece che due, nessuno a Cannes o al cinema si sarebbe mosso dalla sedia, talmente riesce a rendere poetico ogni singolo fotogramma.
Un elemento molto interessante della recitazione è che tutti parlano a bassa voce, solo in due occasioni qualcuno “urla”, ma soprattutto nessuno si guarda mai negli occhi: quando parlano sembrano essere impassibili, sempre. A noi occidentali può sembrare strano, ma in realtà tutto questo è un fattore culturale. In Cina guardarsi negli occhi mentre si parla, e aggrottare le sopracciglia, è considerato irrispettoso e poco educato, come fare effusioni in pubblico. Per rendere possibile la comprensione di determinati sentimenti, perciò, il regista ha fatto sì che i protagonisti si parlasserlo con gli occhi, avvolgendoli in luci e ombre ogni volta diverse ma sempre molto intense.
Un vero e proprio noir d’altri tempi (seppur ambientato ai giorni nostri), rispettoso della cultura d’origine, poetico, reale e con un finale strepitoso. Da vedere assolutamente
Il lago delle oche selvatiche di Yinan Diao, con Hu Ge, Gwei Lun Mei, Liao Fan, Wan Qian