Il Faust a temperatura variabile di Lombardi-Tiezzi

In Teatro

Foto © Luca Manfrini

Sospeso tra trovate tradizionali ma ineccepibili e colpi di mano non del tutto soddisfacenti, il Faust di Tiezzi si segnala per il pigolante Mefistofele di Lombardi

FOTO © LUCA MANFRINI

Fermo restando che all’Inferno esiste un settore specifico dedicato a coloro che si servono di inglesismi ad ogni piè sospinto, in modo pedissequo e gratuito (3/4 dei dannati saranno quindi milanesi, senza dubbio), talvolta si è spinti ad ammettere che esistono determinate espressioni angloamericane – anzi, idioms – che rischiano di diventare irrinunciabili per il loro potere sintetico.

Una di queste è mixed bag, che non ha le implicazioni dispregiative del corrispettivo italiano “accozzaglia”, ma che, a differenza del francese pot-pourri, rende subito l’idea della disparità di valore tra le cose che si possono trovare in un determinato contenitore.

Scene da Faust – in scena al Piccolo Teatro Grassi fino al 1° marzo – è una mixed bag, che include certi elementi buoni, e certi altri meno buoni. La scenografia di Gregorio Zurla appartiene alla prima categoria, perché esteticamente è accattivante (anzi, posh) con le sue superfici lisce costantemente rimodellate dalle luci di Gianni Pollini, ora vibranti ora smorte.

Ha l’impatto armonioso delle installazioni di Dan Flavin, il che la rende – oggi come oggi – quasi tradizionale, ma comunque adatta a dare volume ai tableaux che Federico Tiezzi ha desunto dalla prima parte del Faust di Goethe, con una traduzione dal tedesco che, all’orecchio di un profano, suona musicale e cesellata con abilità.

Anche il Mefistofele di Sandro Lombardi è piuttosto tradizionale, ma a sua volta tecnicamente ineccepibile, con la sua mite ipocrisia da impiegato del banco dei pegni (e in pegno, ovviamente, gli vengono lasciate le anime) e con la sua vocina pigolante che – come un piccolo trapano – può penetrare anche nei crani più corazzati.

L’equilibrio di questa interpretazione compensa le oscillazioni di temperatura del Dottor Faust di Marco Foschi, forse meno convincente all’inizio, per eccesso di fronzoli recitativi, nei panni del febbricitante scienziato roso dall’urgenza di sapere tutto, rispetto a quando si trasforma in un “Don Giovanni” gradasso e dissennato, sobillato da Mefistofele.

Per i momenti “di massa” che fanno da raccordo alle singole scene prese dal Faust, Tiezzi si serve degli attori del Teatro Laboratorio di Toscana, i quali fungono da coro impersonale e dinamico. I numeri in cui sono coinvolti a tratti lasciano stupefatti e altre volte accigliati, con tutte le gradazioni intermedie (anzi, and everything in between).

I migliori sono quelli in cui si riconosce il senso dell’umorismo quasi surreale dell’autore (come il prologo con la “levitazione mancata” di Foschi), altri sono di un estetismo un po’ fine a se stesso, a partire dall’iniziale esposizione delle carni dei giovani interpreti, appesi a testa in giù come salami; quest’ultima, più che rendere lo spettatore partecipe del suo senso metaforico, fa pensare a una versione più chic della “gara del sedere più bello” di pasoliniana memoria.

Il quadro finale è praticamente uno spettacolo nello spettacolo, con la follia di Gretchen, l’ennesima conquista del Faust/Don Giovanni, interpretata con grande pulizia da Leda Kreider. Sulle sue spalle eteree, ma artisticamente robuste, viene caricato – con un colpo di mano discutibile – il senso di tutto l’insieme, trasformando l’interazione tra Faust e Mefistofele nell’incubo di una donna sconvolta dall’oppressione maschile.

Per carità, non è in discussione la pertinenza logica di questa scelta, dal momento che è indubbio che storicamente le donne siano la cavia preferita degli uomini dominati sia dalla volontà di sapere sia dalla brama di (pos)sesso.

A lasciare perplessi, per via di un certo qual retrogusto di pretestuosità, è più che altro il ribaltamento delle prospettive e l’espulsione imprevista dei protagonisti da tutto il gioco.

Anche le scelte più audaci però non mandano a casa lo spettatore schiumante di rabbia o lacerato da particolari rovelli interiori, ma piuttosto intento a soppesare freddamente (anzi, in cold blood) l’opportunità di dare più peso agli aspetti positivi o a quelli negativi di questa mixed-bag.

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