A quarantaquattro anni dalla prima della Traviata Norma, torna in libreria il testo di questo storico J’accuse firmato dai Collettivi Omosessuali Milanesi
«Lo spettacolo dunque s’è invertito. Sono le frocie stavolta a giudicare la normalità, a guardare lo scadente spettacolo della miseria eterosessuale. Con che occhi, con quale sguardo? Con gli occhi di un omosessuale. Con i miei occhi. Con i nostri occhi». Con queste parole, il militante dei C.O.M. (Collettivi Omosessuali Milanesi) Luigi Locatelli spiega l’intuizione alla base di La Traviata Norma ovvero: vaffanculo… ebbene sì!, imboscata tesa nel 1976 dal Collettivo teatrale “Nostra signora dei fiori” ai danni del malcapitato spettatore eterosessuale.
Pubblicato per la prima volta nel ’77 dalla casa editrice L’Erba Voglio e adesso riproposto da Asterisco Edizioni con la debita contestualizzazione (e una preziosa postilla di Paola Mieli, sorella di Mario Mieli, all’epoca maître à penser dei C.O.M.), il testo di questa esibizione contro-culturale è l’importante testimonianza degli albori di un teatro veramente gay, senza adattamenti né concessioni al gusto del pubblico mainstream. Con molta ironia, ma nessuna buffoneria.
Gli attori non sono attori, bensì diciassette omosessuali che portano in scena se stessi senza cercare mediazione, né tantomeno comprensione, anzi! Chi si aspettava di vedere delle scimmiette ammaestrate casca male, perché gli interpreti approfittano della posizione di potere determinata dal fatto che gli altri siano venuti a vedere loro, e non viceversa, per imporre le regole del gioco. Così il pubblico non è più pubblico: perde l’immunità comprata assieme al biglietto, e diventa un imputato.
Il meccanismo dello spettacolo, prodotto di una militanza allegra e allergica all’istituzionalizzazione (il percorso dei C.O.M. infatti differisce rispetto a quello del primigenio Fuori!, in questo periodo sempre più “compromesso” col Partito Radicale), è semplice quanto d’impatto: le “checche” prendono posto sul palco e asseriscono di essere in attesa dello spettacolo di un gruppo di militanti eterosessuali, il cui nome suona svergognatamente eversivo: «Evviva la Norma».
Subito capiamo il piano delle “checche”, che con poche battute – dal suono sinistramente familiare – svelano allo spettatore eterosessuale di essere caduto in una trappola: nel mondo alla rovescia evocato dal Collettivo teatrale i “normali” sono una minoranza, e, come tali, soggetti ad aggressioni di diverso ordine e discriminazioni esplicite ed occulte. Paternalismo e morbosità sono le armi privilegiate adottate dalle “checche” per appropriarsi provocatoriamente della “miseria eterosessuale” e sbatterla in faccia a chi l’ha sempre praticata impunemente… e magari credendo di essere un originale, uno spirito libero.
«Vi dirò che io comincio ad essere stufo di questi spettacoli etero. Basta! Sono anni che ce la menano col loro vittimismo», sbotta uno dei (non) personaggi, che assieme agli altri compie un censimento “capovolto” degli stereotipi su cui appoggia le sue fondamenta la quotidiana oppressione (subita anche da parte dei compagni comunisti), inframezzandolo con ipotetici “canti partigiani” della Gay Liberation, parodie di brani famosi.
«E il culo? Cosa se ne fanno [gli eterosessuali]?». A questo angosciante interrogativo, lo spettacolo risponde con un momento interattivo, in cui le “checche” scendono tra il pubblico e lo assaltano con baci, carezze e sorrisi cui nessuno può sfuggire: «Al suono dell’Internazionale – scrive ancora Luigi Locatelli – le attrici frocie rappresentano ciò che esse intendono per COMUNISMO; scena-prefigurazione di una società di eguali, in cui il desiderio fluisca senza tregua da un corpo all’altro, un al di là dei ruoli che recuperi la indivisa totalità originaria». L’affettuosa aggressione carnevalesca subita dagli eterosessuali in platea (ma quanti saranno stati realmente?) più che una vendetta, è un invito. Un invito al godimento, distillato però dalla prevaricazione.
Nei quarantaquattro anni che ci separano dalla première dello spettacolo, può darsi che il livello di consapevolezza dei “normali” (inclusi gli omosessuali “integrati”) si sia innalzato, ma il machismo, la brama di piacere unilaterale, non sono stati affatto debellati. La riedizione testuale della Traviata Norma arriva quindi come un utile promemoria, in un contesto nazionale regressivo che flirta pericolosamente col passato, senza imparare da esso.