Dacia Maraini: Il compito dei romanzi? La consapevolezza.

In Interviste, Letteratura, Teatro

A margine del Festival Teatro sull’Acqua di Arona, abbiamo incontrato la direttrice artistica Dacia Maraini, per riflettere sul ruolo della cultura tra le incertezze della pandemia. Ne è scaturita una riflessione a tutto tondo sulla solitudine, sulla paura, sul ruolo della narrazione nelle nostre vite. E sul domani.



Trovarsi di fronte Dacia Maraini ha il sapore dell’incontro con la storia. Impossibile non scontare un po’ di giusta soggezione di fronte a una delle regine della nostra letteratura. Un ruolo che però, di certo non senza consapevolezza, Maraini veste con eleganza – la stessa con cui si pone, con tutti. E con grande generosità, e con la vitalità garbata di chi sente la voglia e la responsabilità di offrire occasioni di arricchimento e incontro quanto più le è possibile. La incontriamo a margine del festival Teatro sull’acqua, di cui ormai da dieci anni cura con passione la direzione artistica, trasformando il lungolago di Arona – luogo amato – in un polo culturale prezioso e sempre più sentito, che per cinque giorni fa sbarcare sulla sponda del lago maggiore ospiti d’eccezione – quest’anno, tra gli altri, Mariano Rigillio, Massimo Gramellini, Viola Ardone e Paolo Cognetti – trasformando le vie del borgo in un palcoscenico in cui le performance di strada si mischiano ai turisti e gli autori più amati si prestano a una rispettosa prossimità con tutti i loro lettori, anche nel tempo del distanziamento. Un’esperienza che sta sempre più guadagnando importanza, nella ricca mappa dei festival nostrani, e che anche quest’anno, nonostante la pandemia, è riuscito – nel rigoroso rispetto di tutte le norme – a confermarsi in presenza.
Una sfida – vinta – per tutti. Di che sorridere, tra una corsa e l’altra di tutti, dagli organizzatori ai volontari alla stessa direttrice artistica, che trova il tempo di prestarsi a scambiare con Cultweek qualche battuta.

  • Si è riusciti a riportare Teatro sull’Acqua in presenza: che significato ha in rapporto al luogo con cui si svolge? In particolare, che valore ha farlo quest’anno?
    È  un atto di coraggio che attribuisco soprattutto a Luca, Vanessa, Marcella e Annamaria, i bravissimi organizzatori del festival. Io da lontano non posso decidere sulle date e i luoghi. Sono loro, sul posto, che devono decidere. Io mi limito a scegliere le persone da invitare, i libri da raccontare  e gli spettacoli da rappresentare, sempre d’accordo con loro naturalmente, ma il resto spetta a loro e credo che abbiamo deciso per il meglio.
  • Questo tempo chiama a confrontarsi col ruolo della cultura, e nello specifico con un aspetto centrale anche nel suo ultimo libro, Trio. La paura. Qual è la funzione del racconto nel tempo della paura?
    Credo che i romanzi siano lì per approfondire la consapevolezza, non per risolvere le grandi questioni del mondo. Possono creare coscienza e questo è già molto.
  • Quello di Arona è in primo luogo un festival teatrale. Quando si sono dovuti chiudere i teatri, ci si è chiesti se non ci si sia privati del mezzo migliore per gestire la paura, sperimentarla ed esorcizzarla. Cosa ne pensa? Tornare a fare teatro sul lago ha a che fare anche con questo aspetto?
    Come ho detto, riprendere a fare teatro, tenendo conto delle restrizioni giustamente imposte a tutto il paese, non è stato facile. Ma ce l’abbiamo fatta e il pubblico ha risposto con molto calore. Non possiamo che essere contenti.
  • Il primo campo che ha scontato le conseguenze infauste della pandemia è proprio quello culturale. Si sono dovuti inventare e sperimentare nuovi mezzi per proporre contenuti culturali.  Come può essere comunicata oggi la cultura? A chi parla? Quali obiettivi si deve porre?
    Rispondo con una metafora: l’artista è un palombaro che scende in profondità nelle acque scure dell’inconscio collettivo, trova degli oggetti sepolti e li riporta alla luce. Non è che gli oggetti non ci fossero, ma erano nascosti e lui o lei hanno il compito di renderli visibili.
  • Anche il lockdown è un’occasione di confronto col ruolo del racconto e della narrazione. Qual è il rapporto tra racconto e solitudine? La solitudine serve al racconto. Vale a dire, l’esercizio obbligato della solitudine può essere fecondo per la scrittura o è mutilante? Il raccontare può riempire quello spazio di incontro, Può offrire una compagnia?
    La solitudine è una benedizione se sentita come necessaria e se scelta. Se invece viene imposta può diventare una maledizione.
  • Confrontandosi con Andrea Marcolongo sulla cultura greca ha domandato se la misoginia della società greca si riflettesse su quella della cultura  e della letteratura italiana. Lei cosa ne pensa? Cosa fare, proprio adesso che si discute di presa di parola delle donne negli spazi culturali e di luoghi intellettuali, dai giornali ai festival, dove le donne spesso non ci sono?
    Il pensiero e i miti greci sono alla radice della nostra cultura. E per quanto si  tratti di  una cultura ricchissima e affascinante non possiamo negare che sia misogina. Anche se farei una distinzione: per i Greci antichi le donne erano centrali nella vita sociale, poi piano piano, il centro è diventato l’andros, l’uomo, e le donne si sono trasformate in una appendice senza parola e senza pensiero. Lo racconta benissimo Eschilo nella Orestea in cui fa dire ad Apollo che Oreste è innocente della morte della madre, perché il corpo materno non dà la vita che sta solo nel seme paterno, ma la conserva nel suo ventre che paragona a un vaso.

* A proposito del nuovo romanzo, Trio. A Teatro sull’acqua si è discusso della contemporaneità del testo, di quanto parli dell’oggi. Ma quanto dialoga invece con la sua scrittura e il suo percorso di autrice? Penso in particolare a Marianna Ucria. Tra allora e oggi, cos’è cambiato e cosa resta, Quali punti di contatto e di distanza?
Di fronte alla paura che suscita una pandemia gli esseri umani tirano fuori gli istinti primordiali: sospetto, rifiuto del diverso, chiusura, odio, aggressività. E’ quello che sta succedendo oggi. Speriamo solo che il buon senso e lo spirito civile della maggioranza degli italiani vincano sul disfattismo di coloro che si fanno trascinare dalle angosce irrazionali.

* Una piccola curiosità (che mi viene dalla recentissima rilettura di Marianna Ucrìa)  se lo riscrivesse oggi, cambierebbe qualcosa?
No, non cambierei nulla. Marianna è il risultato del lavoro di cinque anni di ricerche e di riscritture. Cambiandolo andrei contro me stessa.

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