Claudio Noce porta sullo schermo in “Padrenostro” la sua vicenda di vittima del terrorismo: il padre vicequestore (Pierfrancesco Favino, premiato alla Mostra di Venezia per il film) subisce un attentato sotto casa e lui, piccolissimo, assiste dal balcone al drammatico fatto. Ma soprattutto, insieme a un amico immaginario, sarà testimone della paura che da allora non lascerà più la sua famiglia
Il periodo della lotta al terrorismo, tra metà anni Settanta e metà Ottanta, noto come Anni di piombo”, è sicuramente un argomento elaborato con incredibile successo sullo schermo. Ma è scavando nel suo trauma personale di quell’epoca che il regista Claudio Noce l’ha affrontato in Padrenostro, prendendo alcuni dei fatti dal tentato omicidio del 1976 del padre vicequestore e in Padrenostro elabora come ciò abbia influenzato lui e la sua famiglia. Noce aveva due anni quando avvenne l’attentato, abbastanza grande per sentire il peso dell’evento ma troppo giovane per avere ricordi distinti di quel momento. Per rendere la storia più vivida e dinamica, ha creato un avatar di 10 anni, Valerio (Mattia Garaci), la cui attiva immaginazione gli fornisce uno sfogo per il trauma che sta vivendo.
La sceneggiatura, allontanandosi deliberatamente dalla politica, offusca il confine tra realtà e fantasia al punto che ci si chiede cosa sia vero. La prima immagine della mamma di Valerio, Gina (Barbara Ronchi), la mostra bagnata di una luce dorata, quasi più una Vergine celeste che una madre umana. Suo padre Alfonso (Pierfrancesco Favino, premiato alla Mostra di Venezia per la sua interpretazione) invece è una figura più remota, spesso assente da casa, il tipo di pater familias che chiama suo figlio “piccolo uomo” e racchiude ogni manifestazione emotiva dietro muri metaforici costruiti con gravitas e macismo. Di conseguenza, Valerio lo adora.
Ma una mattina il piccolo viene svegliato dal suono degli spari. Correndo al balcone, osserva la fine dell’attacco in strada, durante il quale suo padre viene ferito e uno dei terroristi ucciso. La scena è una corsa sfocata, proprio come la sperimenterebbe un bambino quando non è abbastanza sicuro di come elaborare ciò che ha visto. Gina si precipita fuori in preda al panico, ignara che suo figlio abbia assistito alla carneficina. I giorni che seguono sono telescopici: gli adulti credono di poter tenere i ragazzi all’oscuro, vietando loro di entrare nella sala tv o di vedere un giornale, ma ovviamente Valerio coglie parte della verità e di conseguenza è terrorizzato da tutto. E anche quando Alfonso torna a casa, i due genitori si danno da fare per fingere che tutto sia normale, ma la tensione è insopportabile.
Un giorno Valerio conosce un ragazzo più grande: con jeans sporchi e una vecchia maglietta, Christian (Francesco Gheghi) si percepisce come un frutto dell’immaginazione del bambino. I due vagano per la città, poi Valerio porta Christian davanti al suo condominio, dove con alcuni pezzi di gesso abbozza per strada l’attentato a cui ha assistito. Questa è la sequenza più forte del film, girata e montata con un crescendo di energia che traspone lo stato d’animo disturbato del ragazzo. Proprio in quel momento arrivano Gina e Alfonso, scioccati nel rendersi conto che loro figlio ha visto molto più di quanto avrebbero potuto immaginare.
Con la necessità di trovare un posto più sicuro di Roma, la famiglia si trasferisce nella casa avita di Alfonso in Calabria, dove i suoi parenti cercano di fornire il sostegno emotivo e il calore di cui tutti hanno bisogno. La solitudine di Valerio viene spezzata quando Christian si presenta e diventa una presenza sempre più forte nella vita del ragazzo. La sorpresa diventa ancora più grande per il pubblico quando i genitori di Valerio iniziano a interagire con Christian, facendo sì che lo spettatore si chieda se sia reale o ancora un frutto dell’immaginazione.
I presupposti del film sono promettenti, ma la sceneggiatura manca di consistenza nella costruzione della scoperta dell’identità di Christian. Sicuramente lodevole è invece il modo in cui mostra come la sparatoria logori le dinamiche familiari e come la paura di un secondo attentato formi un elemento quotidiano, costante nelle loro vite. Sia Valerio che Christian sono personaggi intriganti, la vulnerabilità del primo è ben abbinata alla misteriosità irresistibile del secondo e la trasformazione di Gina da madre celeste a sentinella nervosa è ben gestita. Il fluido lavoro di ripresa di Michele D’Attanasio, che riflette una tavolozza di metà anni ’70, mantiene un’energia osservativa che, insieme all’ottimo montaggio di Giogiò Franchini favorisce l’identificazione con Valerio. Padrenostro è un dramma ben realizzato, con alcune potenti sequenze e raggiunge il meglio quando si focalizza sui rapporti tesi all’interno di una famiglia terrorizzata.
Padrenostro di Claudio Noce, con Pierfrancesco Favino, Barbara Ronchi, Mattia Garaci, Francesco Gheghi