Il Museo d’Arte di Mendrisio dedica una ricca retrospettiva ad André Derain. Un’occasione per scoprire i tanti volti di uno dei protagonisti della prima metà del Novecento
Nel 1910 André Derain cambia studio e abitazione. Dal Bateau Lavoire, dove era vicino di Picasso, si trasferisce al Quartiere Latino. L’artista (Chatou 1880-Parigi 1954) che si era trasferito a Parigi nel 1898, è a soli trent’anni all’apice del suo lavoro. Nel decennio precedente, appena ventenne, partecipa ad alcuni momenti cruciali dell’arte contemporanea. È considerato, con Maurice de Vlaminck e Matisse, l’inventore del movimento Fauve, ha contribuito con Picasso e Braque al sorgere del Cubismo, è un enfant prodige che domina giovanissimo la scena di Parigi, amico dei più grandi artisti che calcavano le scene sulla Senna – oltre ai citati Puy, Marquet, Roualt – di scrittori – Apollinaire, Max Jacob – musicisti e scenografi –Stravinskij, Satie, Diaghilev – già nelle grazie di mercanti e collezionisti.
Dopo questo trasferimento la sua arte subisce una deviazione che possiamo attribuire a due episodi chiave: il primo è una sua riflessione squisitamente teorica e stilistica. Tra il 1911 e il 1914 attraversa un periodo che egli stesso definisce “bizantino” o “gotico” in cui abbandona le suggestioni fauviste per un impegno maggiore verso una pittura più libera. Poi, tra il 1914 e il 1918, per 4 lunghi anni, smette di dipingere per fare il soldato durante la Prima guerra mondiale: un trauma fortissimo che cambierà lui e, probabilmente, tutta la sua generazione.
Gli anni bizantini sono tra i più fecondi della sua pittura ma rappresentano, prima della guerra, un taglio netto con la sua precedente esperienza fauve.
A partire dagli anni Venti – soprattutto in Italia, con il realismo magico, e in Germania – spira un vento di “ritorno all’ordine”, un desiderio di ritornare dopo le radicali modifiche del primo decennio del secolo – futurismo, cubismo, astrattismo – a valori più tradizionali nell’arte, soprattutto nella pittura.
Derain comincia una sua ricerca personale che rimarrà coerente nei decenni successivi. Si allontana dalle sue stesse innovazioni per dedicarsi a una pittura più tradizionale, più vicina alle proprie inclinazioni e alla sua straordinaria cultura visiva.
Già nel 1906 – su invito del mercante Ambroise Vollard – si reca a Londra dove scopre il British Museum e con ogni probabilità la sua sezione di arte africana. Al ritorno a Parigi prosegue i suoi studi al Louvre ed è, anche prima di Picasso e delle sue Mademoiselles d’Avignon, il vero scopritore di quella che allora si chiamò “arte negra”. L’accostarsi a queste nuove espressioni costituisce per Derain una vera svolta. E ad allontanarlo dal clima di avanguardia per riportarlo nell’alveo di una ricerca più personale contribuisce, un decennio più tardi, un viaggio in Italia e l’incontro con la pittura classica e rinascimentale, soprattutto di Raffaello. La sua svolta è poi molto probabilmente influenzata anche da una sua grande passione: il collezionismo. Derain raccoglie di tutto: arte africana, pitture Fayyum, arti decorative del Sei e Settecento, pittura europea, una grande tavola che attribuiva a Bosch. È un uomo ricco e compra anche diversi modelli della lussuosa automobile Bugatti.
Comincia così un percorso personalissimo che lo porterà a “sperimentare”, o meglio, forse a “ritornare” su tutta la pittura europea. Un percorso paragonabile probabilmente soltanto a quello di un altro grande outsider della pittura del Novecento, Giorgio de Chirico.
La mostra che si svolge a Mendrisio nei suggestivi spazi del Museo d’Arte, André Derain, Sperimentatore controcorrente (fino al 31 gennaio 2021), bene illustra questo singolare percorso. Nelle piccole sale del museo, situato in un antico convento, sono raccolte le opere dell’artista secondo temi rigorosi. Prima le luminose tavole del periodo più propriamente fauve, poi i dipinti in cui la tavolozza si scurisce del suo periodo bizantino. Tra questi lo splendido ritratto dell’artista Iturrino, amico di Picasso, forse il più bello di questa serie, accompagnata da parecchi disegni preparatori. Poi i paesaggi del 1919-1936, i cupi sottoboschi, le luminose vedute della Provenza. Immediatamente dopo si trova forse una delle sezioni più emozionanti, i bellissimi nudi, in cui la sua ricerca della classicità diventa consapevole e pittoricamente matura.
Le nature morte degli anni tra il 1921 e il 1938 rimandano più alla lezione di Chardin che alla pittura del ’900. Come i ritratti 1920-1937 dove si sente la lettura dei grandi maestri veneziani, di Delacroix, di Renoir persino. La sezione dei paesaggi 1934-1950 ci fanno sentire il senso di malinconia dei suoi ultimi anni. La sezione si conclude con due piccoli paesaggi dal titolo Paysage triste e Paysage sinistre, entrambi del 1950-52. Nella sezione dei ritratti 1935-1954, spicca il suo autoritratto del 1951-54, poco prima della morte, che in catalogo il suo massimo biografo, Michel Charzat, così descrive: “Derain dipinge per l’ultima volta il proprio ritratto (Autoportrait à la pipe). Lo spettatore vede un personaggio dai tratti scavati dall’amarezza, un vegliardo dalle sopracciglia mefistofeliche e dai capelli scarmigliati. Nel suo sguardo si leggono l’ironia, la tristezza, lo smarrimento. E anche la dissolutezza”. Spietato.
La mostra si conclude con le scene mitologiche e allegoriche 1938-1950, con le ultime nature morte 1938-1951.
Derain è stato un artista instancabile: pittore, scultore, incisore, illustratore di libri. La mostra si conclude quindi documentando tutte queste attività con le sezioni dedicate alla scultura, alle ceramiche, alla fotografia, ai libri illustrati e ai bozzetti per le opere liriche e i balletti.
Gli ultimi anni, come si può facilmente intuire, furono segnati da un netto declino della sua fama – ma non lo dimenticarono i suoi amici più grandi de Vlaminck, Giacometti e Braque – e da un ritiro progressivo dalle scene pubbliche. Dopo una dolorosa separazione dalla donna della sua vita, Alice, durante gli ultimi anni frequenta una scultrice di 45 anni più giovane, Nicole Algan. Sebbene malato, ha ancora dei momenti creativi. Nel 1954 scrive a un amico: “Ho fatto un piccolo pellegrinaggio a Mantes, al ponticello di Corot. Mi sono venute delle nuove idee…”.
Poco dopo, il 14 luglio, contravvenendo all’ordine dei medici, Derain prende la sua Bugatti. Mentre scende dall’automobile viene investito da un’altra vettura. Morirà l’8 settembre del 1954.
André Derain. Sperimentatore controcorrente, a cura di Francesco Poli, Simone Soldini, Barbara Paltenghi Malacrida, Mendrisio, Museo d’Arte, fino al 31 gennaio 2020
Immagine di copertina: André Derain, Le Maquignon, 1904-1905, Musée d’Art moderne, Troyes, Donazione Pierre e Denise Lévy. © 2020, ProLitteris, Zurich