Le inversioni della storia: quando due cechi guardavano all’Italia come noi oggi guarderemmo alla Repubblica Ceca. Però forse c’è ancora chi ci guarda con “ironia mitteleuropea”
Il tempo che passa è un’ossessione per tanti. Per chi sente di non averne abbastanza per fare tutto, per chi non accetta di invecchiare, per chi vive nei ricordi che non sa o non vuole lasciare andare. La fotografia diventa quel modo di vincere il tempo, per conservarne un po’ alla memoria. Quale miglior modo per sfidarlo, allora, se non mettere l’una accanto all’altra le immagini di uno stesso luogo, seguendo due sguardi distanti tra loro quasi cent’anni? Quanto peserà quel secolo di storia e quanto ci si potrà sentire potenti nel catturarlo? Anche se è una non-vittoria, visto che quel tempo ritratto non tornerà mai più.
Sono queste alcune delle suggestioni che nascono di fronte a K&K, in mostra al centro Ceco di Milano grazie alla collaborazione tra il fotografo italiano Cesare Colombo e il Centro di Ricerca e di Archiviazione della Fotografia di Spilimbergo (CRAF), Pordenone. Colombo ha messo a confronto, a coppie di due, 80 scorci dell’Italia ritratta da due fotografi che hanno in comune l’origine boema e il viaggio, per quanto non abbiano fatto in tempo a incontrarsi. František Krátký, nato nel 1851 a Kolin, ha viaggiato in Italia alla fine del diciannovesimo secolo. Pavel Kopp è nato nel 1940, sedici anni dopo la morte del primo, ha studiato a Praga e si è innamorato del nostro Paese negli anni ’70 e ’80 del Novecento.
Passato prossimo e remoto risuonano l’uno nell’eco dell’altro: paradossalmente il colore che manca alle fotografie in bianco e nero di Kopp, scattate tutte con una Leica M5, si ritrova in quelle di Krátký, che da buon fotografo-pittore dipingeva i suoi fotogrammi per renderli più attraenti per la gente dell’epoca. Negli angoli di Firenze, di fronte a Palazzo Vecchio, nelle piazze di Roma, nei vicoli di Verona e in quelli di Napoli, si scovano i segni del tempo che è passato. Nei vestiti, nei mezzi di trasporto, nelle relazioni: gli innamorati, tanto cari a Kopp, che ne ruba i baci e gli sguardi, quasi non esistono nelle immagini del suo predecessore. A volte però, si ha la sensazione che l’Italia per cento anni non sia affatto cambiata…
Le differenze tra K&K, spiega Colombo, non dipendono tuttavia soltanto dal tempo che li separa e dalle diverse realtà che hanno fotografato. «Dobbiamo ricordarci che Krátký lavorava per scopi commerciali. Il suo interesse era produrre documentazione interessante sull’Italia per poi venderla all’alta borghesia boema». I fotogrammi stereoscopici di Krátký, recuperati dal fotografo ceco Pavel Scheufler e conservati dal CRAF, nascevano per essere guardati tramite i visori binoculari e offrire un’illusione prospettica: un modo per stupire e insieme documentare in maniera scientifica.
«Kopp invece – continua Colombo – assume una posizione intelligentemente critica». Dalle sue fotografie traspare l’ironia, tipica di molta della cultura mitteleuropea, di chi ama il nostro Paese, ma ne vede insieme quegli atteggiamenti che non gli appartengono. «Negli italiani Kopp e i suoi connazionali ritrovano persone meno riservate di quanto loro non siano e più inclini a mostrare atteggiamenti che in fin dei conti sono universali». Come l’amore che Kopp ha fotografato così spesso.
K&K è allora un bel viaggio, anzi, due: tra l’Italia di ieri e quella dell’altro ieri e tra due sguardi boemi, uno più da illustratore, l’altro più da autore; uno meno consapevole, l’altro più creativo rispetto alle vicende sociali italiane e dotato dei progressi narrativi ed espressivi che la fotografia ha guadagnato in cent’anni.
“K&K”. Due sguardi sull’Italia, Galleria del Centro Culturale Ceco, fino al 20 febbraio 2015.
Foto: Pavel Kopp, Gargano, 1975.