Patrizia Zappa Mulas racconta Franca Valeri: la donna che ha regalato la risata al teatro italiano, che ha inventato uno sguardo intelligente sulla comicità, che ha saputo leggere i cambiamenti e i tic del nostro paese come solo i grandi ingegni sanno fare. E che come scrittrice attende ancora un riconoscimento. Per questo in “Franca. Un’incompresa di successo” (pubblicato da Sem) Zappa Mulas ha deciso di prendere parola. Da amica e da attrice.
- Secondo lei Franca è “Di successo ma incompresa”. Solo come scrittrice?
Soprattutto come scrittrice. Ma l’incomprensione di un’artista ha sempre un’implicazione. La tendenza a minimizzare il talento delle donne. Il successo di Franca come attrice l’ha premiata, ma ha in parte distorto la sua figura e il suo contributo alla cultura italiana. Che è stato un forte impulso alla modernizzazione del nostro costume e all’autorevolezza di tutte le donne.
- La Signorina Snob è milanese, la sora Cecioni è romana. Milano e Roma sono i due poli del percorso di Franca, cosa c’era di milanese e cosa di romano in lei?
Ogni volta che Franca ha concepito un tipo umano nella sua attività di commediografa l’ha ricavato dalla sua esperienza, come fanno gli scrittori, da sempre. La Signorina Snob è una figura milanese che lei conosceva molto bene, dall’interno per così dire. L’ha ricavata dal suo stesso ambiente di formazione, la Milano bene. La Cecioni invece l’ha scoperta trasferendosi a Roma. Ma Franca è stata un’artista cosmopolita imbevuta di cultura europea. Non è un caso che abbia sfondato a Parigi nel 1960 con il Teatro dei Gobbi. Si può dire che Franca è milanese nello spirito illuminista e romana d’adozione nella sua autobiografia. Ma definirla milanese e romana sarebbe una semplificazione. So che sono categorie care al giornalismo ma che le stanno strette. Sarebbe un’altra riduzione. Mi sembra il momento di analizzare il lavoro artistico di Franca in modo più profondo, più attento.
- Franca nella sua autobiografia si definisce “Bugiarda no, reticente”, e Zappa Mulas parla di una Franca che raccontava solo “Ciò di cui si era già liberata”. Esistevano delle distanze fra la Franca pubblica e quella privata?
Una distanza c’è sempre, come è giusto che sia. Ma quella frase che citi si riferisce al contrario. Intendevo dire che questa non è una biografia ma il racconto che Franca mi ha fatto di sé quando aveva già compiuto ottant’anni – quello che riteneva importante allora. Con l’età i suoi ricordi si sono distillati, il tempo ha operato una selezione, come succede a tutti gli esseri umani. Ed è proprio questo che mi interessava, come narratrice. L’idea che Franca aveva della sua vita adesso. La grande età genera una visione a distanza delle cose, i ricordi dei fastidi e delle faccende irrilevanti si riducono fino a sparire. E ascoltandola sentivo che le zona d’ombra che lasciava sono appunto quelle di cui si è liberata.
- Un critico francese parla di Franca come “l’antenata di Moliere”. Franca è una donna che ottiene il primo successo da sola alla radio nel 1950 e poi a Parigi nel 1960 impone quello dei Gobbi. Il suo teatro ha insegnato qualcosa a tutte quelle che son venute dopo. Cosa ha insegnato Franca sul piano scenico e sul piano della scrittura per la scena?
Per rispondere a questa domanda servirebbe un altro libro. Direi che ha raccontato con perspicacia il nostro paese, ha contribuito a modernizzare la lingua italiana e ha mostrato un modo smagliante di stare in scena. E non ha insegnato solo alle donne, ma a tutta la comunità artistica italiana. I grandi talenti lanciano semi che devono germogliare, lampi di luce irradiante che arrivano lontano. E mi auguro che il lavoro di Franca sarà fecondo di futuro.
- Il telefono come partner di scena, creato da sé. Come avrebbe portato in scena, se cambia qualcosa, il tempo degli smartphone?
Franca l’ha fatto. Quel telefono col filo conteneva già l’idea della comunicazione a distanza, delle sue implicazioni pervasive e invadenti, della solitudine di chi lo usa troppo per restare a galla. E negli ultimi anni in scena non usava più l’oggetto concreto della cornetta, portava semplicemente la mano chiusa all’orecchio. L’evoluzione tecnologica del telefono non la interessava granché. Aveva un cellulare, ovviamente, e lo usava. Ma non era uno smartphone. Come racconto, non si è mai innamorata della rete web. Ma ha continuato a osservare chi la usa.
- Una buona commedia è sempre una diagnosi precoce e un assalto al futuro, scrive nella postfazione alle commedie. Cos’è la comicità per Franca e qual è, se ancora esiste, la sua funzione sociale oggi?
La comicità è sintesi, mi ha detto un giorno. È osservazione critica, denuncia, liberazione. Ma non è parodia, non fa il verso al presente. Le signorine Snob e le Cecioni non sono ritratti parodistici ma vere e proprie invenzioni. Nessuna sciura milanese fa battute così geniali, nessuna popolana romana. Quelle battute hanno reso evidente quello che di tragico e ridicolo stava per accadere alle donne. La vera comicità annuncia qualcosa che è ancora in germe, la intensifica attraverso i paradossi e la mostra rendendolo divertente. La risata serve a sviluppare l’intelligenza. Per questo i personaggi di Franca dopo sessant’anni sono datati ma non invecchiati. Fanno ridere anche i ragazzi. E la loro tenuta nel tempo è la prova della loro qualità. Franca lo sapeva e ne era molto contenta. Forse era questo a renderla più felice.
- Franca riscrive il senso delle parole. Snobismo, ad esempio. E poi altre. Del fascismo Franca diceva che era “troppo stupido per durare”. Al di là della stupidità oscena di tutte le dittature, cosa era stupido, per Franca?
Quello che non scaturisce dal cuore e dal talento.
- Franca è stata parte di una stagione storica dove tutto era da costruire, ed è stato costruito, con una intelligenza e una leggerezza che oggi ci fanno invidia. È rimasto qualcosa di quel tempo, oggi. Cosa insegna ai ragazzi di oggi?
A rimboccarsi le mani per ricostruire ciò che è stato distrutto per inventarsi il futuro. E a non sentirsi vittime.