E’ profonda, commovente, magnificamente scritta, diretta e interpretata l’opera prima della regista israeliana Ruthy Pribar. Che in “Asia” racconta lo straziante rapporto tra una madre infermiera (Alena Yiv) e una figlia adolescente che sta morendo di una malattia degenerativa, interpretata da Shira Haas, la protagonista della serie tv di Netflix “Unorthodox”. Un addio pieno di pathos e rimpianti
Asia è una madre che deve affrontare una delle cose più difficili che esistano, vedere la figlia malata che si spegne sempre di più, ma allo stesso ha una grandissima voglia di vivere. Da infermiera, Asia sa quale sarà il suo destino e fa fatica ad accettare il fatto di non poterla aiutare; così si sente impotente di fronte a una malattia degenerativa incurabile e cerca in tutti i modi di stare vicina a una figlia avuta troppo da giovane e che forse perderà per sempre.
Lo schermo si riempie dei loro corpi in costante movimento, in continua ricerca l’uno dell’altro, anche se a volte non sembrano neanche volersi sfiorare, e ci sono anche momenti di vuoto, di attesa, sguardi assenti incredibili e magnetici che non fanno distogliere l’attenzione dallo schermo neanche per un secondo.
Vika, la figlia adolescente di Asia, vuole vivere in un attimo tutto quello che si dovrebbe attraversare in un’intera esistenza, perché sa di non poter restare al mondo ancora per tanto tempo: ma spesso non si accorge che alcuni dei suoi comportamenti sono pericolosi per la sua sopravvivenza, e rischia di peggiorare continuamente la situazione.
Asia dell’esordiente regista israeliana Ruthy Pribar (si può vederlo sulla piattaforma Mio Cinema) è un film stracolmo di amore materno ma anche di solitudine delle due donne. È una storia filmica già vista più volte, in diversi capolavori del cinema europeo ed extraeuropeo, ma in questo caso il canovaccio viene superato dai sentimenti, dalle emozioni che le due attrici sanno trasmettere anche solo attraverso lo sguardo fisso sulla macchina da presa, fisso nel vuoto dell’incertezza verso il futuro. Entrambe le donne sono alla ricerca di qualcosa che probabilmente non potranno mai afferrare con mano salda: la sicurezza del futuro.
Rispetto ad altri film sul tema della disabilità (la malattia di Vika è degenerativa e le impedisce via via sempre di più i movimenti) e della malattia terminale, questo è leggermente diverso: si concentra sulla volontà di lei provare emozioni, perdere la verginità, innamorarsi prima di non poterlo fare mai più. È un film in divenire, super apprezzato dalla critica e pluripremiato ai festival di cinema, di una delicatezza indimenticabile.
Shira Haaz, l’attrice che interpreta Vika, è la primattrice indiscussa di Unorthodox, una serie tv di grande successo prodotta da Netflix che tratta un tema a sua volta molto intenso, la religione ebraica ortodossa. Haaz interpreta lì un’altra protagonista che deve fare i conti con il proprio corpo, con il suo essere donna in una società fortemente maschilista. Ed è alla ricerca di quella libertà interiore che spetta a tutti, anche se non tutti lo sanno. Un esempio di bravura cinematografica, la sua, sia sul grande che sul piccolo schermo, non da poco, data la giovane età, solo 25 anni.
La madre, invece, è interpretata da Alena Yiv, che è al suo primo ruolo principale nonostante sia molto conosciuta come attrice, stunt e regista, mentre a teatro ha preso parte allo spettacolo Dom Juan diretto da Alexander Morfov.
Asia di Ruthy Pribar, con Alena Yiv, Shira Haas, Liran David, Tamir Mula, Gera Sandler, Evgeny Tarlatzky, Nadia Tichonova, Eden Halili, Mirna Fridman.