Francesco Lagi guida in “Quasi Natale” un quartetto di ottimi attori in un racconto familiare in bilico tra passato e presente, realtà vissuta e immaginazione. Sogni d’infanzia e amarezze della vita si mescolano al ritorno nell’amata magione, ventre materno da cui è impossibile andarsene
Dopo Zigulì (2019), un intenso documentario sulla relazione tra un padre e il figlio non vedente e autistico, e il debutto nel film di fiction con Missione di Pace (2020), in cui lo stesso legame si racconta in forma di incontro-scontro tra un genitore militare convinto (Silvio Orlando) e un figlio altrettanto convinto pacifista (Francesco Brandi), uniti da una missione nei Balcani in cerca di un pericoloso criminale latitante, il 44enne regista/sceneggiatore fiorentino Francesco Lagi ha conquistato l’ultimo Torino Film Festival portando sullo schermo Quasi Natale, (dal 26 febbraio on demand su Sky Primafila) una piece a quattro personaggi realizzata prima per le scena dal suo Teatrodilina.
Un racconto compatto, claustrofobico, in cui anche ciò che succede fuori dalle mura della casa di famiglia di Lagi, fotografata con grande efficacia da Edoardo Carlo Bolli in toni molto spesso bui o soffusi, evocativi, fantasmatici come lo script richiede in sintonia coi personaggi che lo animano, è tutto raccontato dal di dentro. Che è un “di dentro” prima che logistico certamente psicologico per i quattro caratteri, tre fratelli e una supposta fidanzata di uno di loro, che tornano nella magione dell’infanzia (a tratti rappresentata proprio come un misterioso castello di favola) per ascoltare dalle parole della madre, peraltro nel frattempo ricoverata in ospedale, e che non parlerà mai, qualcosa di molto importante che la donna vuole sappiano prima che sia troppo tardi.
In modi molto diversi, ma in seguito alla stessa causa familiare, una madre dominante e tanto amata (e anche un po’ odiata) in mezzo a una famiglia come si dice disfunzionale, sono tutti e tre dei dropout dell’esistenza: Chiara, fresca separata con figlia giovane e pochi danari all’attivo, esprime in modo più evidente di tutti il suo pessimo rapporto con la vita e le relazioni in accessi di aggressività psicotica che finiscono anche in scontri fisici. Ne vediamo uno col fratello Michele, il più scanzonato del gruppo, a-problematico all’apparenza, ma che a un raduno familiare così importante si presenta con una ragazza contattata su un sito di dating, spacciandola per grande amore. E passa la vita correndo, letteralmente e metaforicamente, sempre in fuga da qualcosa, qualcuno. Infine Isidoro, il più “mammone” del trio, che pur abbondantemente adulto vive ancora nella casa avita con la genitrice e coltiva una superiore varietà di peperoncini raccontandosi che un simile business è destinato prima o poi ad arricchirlo.
Tra una visita all’ospedale per saperne di più della salute della madre e carpirle il segreto che ha promesso, e molti scontri, variamente modulati tra loro, in cui riaffiorano, complice l’esplorazione della casa, dalla cantina al solaio, quaderni di scuoia, fotografie, ricordi, segreti di ognuno, e non tutti sepolti in un passato remoto, Quasi Natale giunge a un epilogo forse un po’ consolatorio: in cui a Miriam tocca, complice una rassomiglianza con la madre testimoniata da una piccola immagine che non vediamo mai, una sorta di reincarnazione officiata nella cottura delle polpette a lungo e in quantità esorbitante preparate dalla genitrice negli ultimi mesi di vita. Lei, l’estranea, come i tre fratelli, tutti appaiono “condannati” a restare nella casa, divenuta via via sempre più personaggio attivo, protagonista della vicenda con i suoi fantasmi, i luoghi evocativi, i suoni, le voci inquietanti. Di certo non se ne andranno almeno fino all’imminente Natale, poi si vedrà.
Il quartetto di interpreti, non notissimi ma davvero in parte (Silvia D’Amico, Francesco Colella, Anna Bellato, Leonardo Maddalena) valorizza al meglio uno script intrigante ma non sempre originalissimo nelle sue svolte psicologiche e nelle citazioni “alternative” (la favola Navajo), ma la progressione drammatica tiene grazie alla messa in scena cavernosa, a quella magione un po’ ventre materno in cui i fratelli, ormai grandi di età ma piccoli di testa, sono in fondo felici di ripararsi, anche a costo di rivelarsi l’un l’altro più verità di quanto vorrebbero e di quanto hanno mai fatto nei decenni delle loro esistenze.
La regia di Lagi è sicura, senza strappi né incertezze, forse fin troppo autoriale nelle intenzioni e nei riferimenti (c’è perfino una slitta simil Rosebud). Se un appunto si può fare, la sua visuale sembra a tratti un po’ raffreddata. In un intrigo di strazi parentali e smacchi subiti dalla realtà, il regista mantiene un occhio severo, anche se affettuoso, verso i suoi personaggi: non concede loro sconti, non sembra fino in fondo partecipe dei loro dolori. Come preso dall’atmosfera complessiva, in bilico tra realtà dei rapporti e immaginazione del ricordo, saga familiare e fiaba della ninna nanna, la sua leva del pathos ha un po’ il freno tirato.
Quasi Natale, di Francesco Lagi, con Silvia D’Amico, Francesco Colella, Anna Bellato, Leonardo Maddalena