E chi la dimentica? Una ricca monografia dedicata alla poliedrica carriera di Mariangela Melato esce a cura del Centro Sperimentale di Cinematografia. Il suo curatore, Maurizio Porro, racconta questo viaggio a tante voci intorno all’attrice, diva e antidiva allo stesso tempo
Offro in saldo un esempio di nepotismo secondo solo ai Borgia: è uscito il n. 599 della rivista quadrimestrale del Centro Sperimentale di Cinematografia diretto da Felice Laudadio (scaduto il mandato qualche giorno fa, è arrivata Marta Donzelli). È monografico, come sono stati quelli per Monicelli, Tosi, Lizzani, Sordi e Bertolucci, come lo sarà il prossimo su Scola, conta 192 pagine da sfogliare con fresco profumo di stampa, costa 18 euro e si può trovare nelle librerie dello spettacolo, alla Feltrinelli, alla San Paolo, su Internet o rivolgendosi alla mail dell’editore ordini@edizionisabinae.com. È dedicato, con affetto davvero collettivo, a Mariangela Melato che il 19 settembre avrebbe avuto 80 anni: ne parlo, ed ovviamente lo consiglio, pur essendone il curatore proposto da Laudadio (autore di un editoriale e di un pezzo che colpiscono al cuore), avendo avuto un saldo e lungo rapporto di amicizia e stima con l’attrice nata a Milano il 19 settembre 1941 e morta a Roma l’11 gennaio – lo stesso giorno della sua mamma – 2013, dopo aver entusiasmato il pubblico del teatro, del cinema e della tv.
È la sacra trinità del marketing audiovisivo, ottenendo migliaia di ritagli stampa di ogni genere e tipo, dalla recensione colta di Quadri o Raboni al gioco pseudo erotico dei settimanali trash, come si evince dal pezzo del critico amanuense Sandro Avanzo sui rapporti Melato-stampa. Amatissima dal pubblico, tanto che la Tv le propose a un certo punto di condurre “Domenica in”, ma lei proseguì dura con la sua carretta del teatro facendo piangere il conto in banca, Melato è stata unica perché ha lavorato con i massimi registi teatrali della sua e nostra epoca: partita con Dario Fo, ha proseguito col conte Visconti con cui ci fu un colpo artistico di fulmine, con Strehler che le offrì El nost Milan (era scritto nel destino). E con Luca Ronconi che sarà il suo vero nume tutelare attraverso una decina di spettacoli che ogni volta sfidavano l’impossibile, dall’Orlando furioso (la famosa serata in Piazza Duomo a Milano mentre gli americani arrivavano sulla Luna, forse ‘diretti’ da Kunbrick) all’ultima Nora alla prova, riduzione di Casa di bambola che Mariangela non ha fatto in tempo a portare nella ‘sua’ Milano (Silvio Danese racconta bene perché la città era ‘sua’), così come Il dolore della Duras, dramma infernale che le servì come cura omeopatica della malattia (leggere il commosso pezzo di Rodolfo di Giammarco).
E non manca la rievocazione di Gianfranco Capitta di Amore allo specchio, recitato fra e sugli specchi a Ferrara, Palazzo dei Diamanti. In mezzo ci sono molti altri: il lungo capitolo all’oggi 70enne Stabile di Genova è basilare nella sua carriera, come racconta Silvana Zanovello, testimone oculare dei tempi di Chiesa, Repetti e Sciaccaluga – oggi tutti raggiungibili solo con una medium – che la condusse lungo gli impervi sentieri brechtiani di Madre Coraggio. Così come furono basilari i suoi grandi amici dell’Elfo Elio De Capitani e Ferdinando Bruni che per lei giocarono due jolly, quel Tram che si chiama desiderio, capolavoro di Tennessee Williams (Mariangela diceva che Blanche era stato il personaggio da cui fu quasi impossibile staccarsi alla fine delle recite) e L’anima buona di Sezuan dopo le edizioni del maestro Strehler. E la cronistoria di questo fortunato connubio si legge nel pezzo di Claudia Cannella, così come Anna Bandettini rievoca quel momento folle in cui l’attrice, per mano a Ronconi, passò dalla misteriosa donna zombie di 337 anni del gotico L’affare Makropulos alla bambina di 7 di Quel che sapeva Maisie di Henry James. Ma ci sono anche da ricordare Fantasio Piccoli che l’ha fatta debuttare a Bolzano, Giancarlo Sepe con cui fece tre spettacoli (Vestire gli ignudi, Anna dei miracoli e Medea”, tre tour de force), Garinei e Giovannini che coronarono il suo sogno del musical con Alleluja, brava gente.
Era una milanese che faceva ridere, raccogliendo il testimone di Franca Valeri, come scrive Gabriele Porro, ricordando le sue origini e l’ultima recita allo Smeraldo con Sola me ne vo” musical autobiografico da camera. E poi certo il cinema che negli anni ’70 ridusse la sua devozione (unica parola possibile) al teatro, facendola diventare pop con i film della Wertmuller insieme a Giannini, ma sempre restando Diva per status e Antidiva per scelta (come ha scritto Stefania Ulivi su Lettura).
Nelle molte testimonianze di amici e colleghi si rievocano i suoi film, il suo viaggio in America e le altre esperienze all’estero (ne scrive con molta cognizione di causa, Alberto Anile), la passione per Franco Brusati e per Giuseppe Bertolucci che firmò un bellissimo film tutto girato alla Stazione Centrale di Milano, Oggetti smarriti con Bruno Ganz (leggere il prensile ricordo di Anna Bandettini).
Mariangela era amata e rispettata anche da tutti i colleghi e non parlo solo dello storico fidanzato Renzo Arbore (intervistato, ovviamente, come la sorella Anna e il nipote Giacomo che fu suo fan dalla più tenera età), che del Nost Milan non capì una parola (tradusse la mamma seduta accanto) e per vedere la fluviale Orestea ronconiana chiese in cambio a Mariangela alcune serate all jazz. Parlo anche di Gabriele Lavia che litigò per tre anni con lei con le parole di Albee, entrambi seduti e avvinazzati sugli scoscesi divani di Chi ha paura di Virginia Woolf?. La adorava, tanto da avere in programma un Giardino dei ciliegi che ora non farà mai più: Sara Chiappori fa con l’attore una memorabile intervista. Se Lavia era coetaneo, Federica Fracassi, nuova generazione, vinse con lei un premio Ubu che la mise sottosopra quella sera, ma che premiava due milanesi d.o.c., ed anche qui la Chiappori rievoca, glossa, chiosa.
Prima arrivavano gli occhi, grandissimi e chiari, scrive in un bel pezzo sul cinema Emanuela Martini, poi la voce roca: “Da camionista, mi chiamavano Satchmo” diceva lei. Ma era una voce impastata della nebbia milanese, aveva visto giusto come sempre il rabdomante Strehler. In questo libro puzzle ci sono infinite testimonianze di set, cuore e cervello, dalle amiche storiche Annabella Cerliani e Giovanna Guida, al suo partner in tv Andrea Occhipinti, mentre non mancano Giannini, Pupi Avati (la diresse nel musical Aiutami a sognare) e Pozzetto, Escobar e la Carlotto e Pippo Crivelli che le fece calcare il mini palcoscenico dell’aristocratico Gerolamo. E poi Rafele e Ravera, Pagni, Agostina Belli, Massimo Luconi (regista del Dolore), la Giorgi, Zaccaro, Pietrangeli, la Comencini, Rubini. Una grande compagnia che si snoda nel corso del tempo. E la bella, affettuosa testimonianza di Toni Servillo, così come bello e affettuoso è il ricordo scritto da Maurizio Nichetti che la scritturò in “Domani di balla” (“Ma questo mimo saprà anche parlare?”). Gli attori che con lei avevano partecipato all’Orlando di Ronconi, cioè Ottavia Piccolo, Foschi, Diberti, Paola Gassmann, ricordano l’esperienza con l’esclusività giusta di un privilegiato clan. E poi ci sono altri testi importanti come Solari, Boni, Ranieri (Filomena di Eduardo che l’aveva da sempre scelta), Milani, Le Pera. Mariangela, l’illusione al potere, una nessuna e centomila come ricordano in un ottimo pezzo non solo freudiano due amiche storiche scrittrici come Simona Argentieri e Patrizia Carrano. E quindi ancora con noi.