Buon viaggio figlio delle stelle

In Copertina Musica

Cinquantacinque album, sette composizioni, sette video, sei film, centinaia di ore di musica, tantissimi concerti. Franco Battiato ha viaggiato nel mondo della musica alla ricerca di qualcosa che voleva e ancora non aveva, sognando la leggerezza quando scriveva colto, sempre spinto dal desiderio di sperimentare. Ora che ha lasciato il suo transito terrestre, nessuno può dubitare della sua presenza nella cultura del nostro tempo

“Ma hai visto? Cantavano le mie canzoni a memoria e non erano nemmeno nati quando le ho scritte”. Franco Battiato non smetteva di sorprendersi. Sgranava gli occhi e sorrideva come il bambino che, in fondo, è sempre rimasto; felice di scoprire che il suo mondo di pensiero e di meditazione era cosa nota a chi ancora non c’era quando uscivano Il re del mondo (1979), Up Patriots to Arms (1980), E ti vengo a Cercare (1988). 

Nei concerti della sua terza età, a tendergli le mani e a chiedere i bis di padri e nonni, non c’erano solo teste bianche, ma ragazzi che si riconoscevano nella sua via pensosa alla comunicazione pop. Anche l’alone semiclassico in cui immergeva successi nati asciutti e percussivi, non faceva correre il rischio che le bandiere bianche e le palome arrivassero meno dirette ai millennials. Oggi basta riflettere su questa universalità per dare risposta alla fatale domanda che Battiato si poneva in Mesopotamia: “Che cosa resterà di me, del transito terrestre”. Domanda posta ad arte perché tutti la facessimo nostra, sollevando la testa dalle miserie che scambiamo per vita vera.  

Un genio in fuga
Di Battiato rimarrà tutto: un infinito di profondità e leggerezza che abbraccia ogni momento della vita, dalla danza al mistero del cosmo. Un mare di musica, parole e riflessioni raccolte nell’enorme diario di un uomo in fuga, sempre dentro e fuori, il corpo qui e il pensiero là, “straniero” a ogni passo, la mano sempre sulla maniglia, per uscire dalla stanza in cui aveva fatto di tutto per entrare. Franco Battiato ha viaggiato nelle terre della musica come un Wanderer inquieto, sempre alla ricerca di qualcosa che voleva e ancora non aveva, che cercava e subito lasciava, sognando il leggero quando scriveva colto, assalito dalla voglia di sperimentare e di scrivere “difficile” appena finita una canzone. Un pensoso cavaliere elettrico che saltava senza problemi dalla hit parade al concerto sacro in cattedrale, abile e sorprendente nel muoversi fra gli estremi, musica colta e forma canzone.

Silenzio? 
L’ultimo canto Battiato ce l’ha consegnato nel 2016 registrando con voce già fragile il suo estremo inedito, Torneremo ancora (Sony), che in fondo inedito non era: un pezzo firmato insieme a Juri Camisasca, immerso nei timbri e nei colori della Royal Philharmonic di Londra; un testo in cui ritorna la riflessione sul “dopo”, sul nostro essere, forse per noi certamente per lui, migranti in transito verso nuove reincarnazioni finché non si sia imparato a vivere davvero, a praticare il vero e il giusto.

Da cinque anni Franco Battiato è stato spento dal suo corpo in un silenzio apparente. Da cinque anni chi lo ama ha sofferto di un’assenza che, in fondo, non esiste, se davvero lo abbiamo capito.  
Cinquantacinque album, sette composizioni che potremmo definire classiche – opere di teatro e pezzi sacri -, sette video, sei film, centinaia di ore di musica e, appunto, un numero enorme di concerti che sconfinavano in altrettante messe laiche cantate insieme a un pubblico di generazioni sempre diverse e più lontane. Tutto questo è presenza.  Il web ne è pieno.

Una presenza lunga giusto cinquant’anni: Francesco Battiato, in arte Franco per brevità e senso della sintesi, inizia il suo cammino nel 1971 con Fetus e Pollution. Quando esce Sulle corde di Aries, album chiave in cui viene assimilato il lampo ripetitivo di A Rainbow in Curved Air di Terry Riley, una delle matrici più squillanti del linguaggio musicale di Battiato è definita. Va a intrecciarsi all’ironia aforistica di Satie, cui si aggiungeranno il minimalismo religioso di Gurdjeff e di Arvo Paert, le interrogazioni di Cage, le sperimentazioni elettroniche di Stockhausen.  

E dopo?
“Non ho paura di invecchiare, anzi, mi piace”. Per tutta la vita, anche nei momenti gloriosi dei successi più estroversi, Battiato ha accarezzato la morte (“Mare, mare, mare voglio annegare”, Summer on a Solitary Beach), ha scherzato con lei e su di lei, ha creduto nel dopo che suggerisce l’opposto di quel che il comune sentire crede: non la fine, ma l’inizio di qualcosa (“Sbucherò da qualche parte”, Vite parallele Torneremo ancora). 

Sempre serio? Tutt’altro. “Quanti personaggi inutili ho indossato?”, si chiedeva ancora in Lode all’inviolato (1993). Chissà, forse alludeva a quella dimensione fissata nella foto choc che, in pubblicità di un salotto, il creativo e suo mentore Gianni Sassi aveva letteralmente sceneggiato, cinquant’anni fa, addobbandolo con ambiguità trans: capelli flou, enormi occhiali, pantaloni-bandiera e didascalia “che c’è da guardare?”. Ma il gioco e l’ironia (“Mister Tamburino non ho voglia di scherzare, rimettiamoci la maglia i tempi stanno per cambiare”) convivevano in Battiato accanto alla filosofia e alla fede (“Emanciparmi dall’incubo delle passioni, cercare l’Uno al di sopra del bene e del male, essere un’immagine divina di questa realtà”). Dove trovare, nella musica “per tutti”, tanta convivenza di opposti? 

Invettive e profezie  
Quasi un capitolo a sé è l’elenco delle profezie nella celebre lista delle invettive. “Siamo figli delle stelle e pronipoti di sua maestà il denaro”, “sommersi da immondizie musicali” (Bandiera bianca); “Alla riscossa stupidi, i fiumi sono in piena”, “ma non è colpa mia se le pedane sono piene di scemi che si muovono” (Up Patriots to Arms); “Povera patria, schiacciata dagli abusi di potere di gente infame, che non sa cos’è il pudore… tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni! Questo paese devastato dal dolore, nel fango affonda lo stivale dei maiali” (Povera patria).  C’è qualcosa di invecchiato?

E dei nostri abbagli su ciò che conta nella vita, difficile azzardare una sintesi più deliziosa di quella che recita Il re del mondo: “Più diventa tutto inutile e più credi che sia vero. E il giorno della fine non ti servirà l’inglese”. 

Franco Battiato ha concluso a settantasei anni questo suo transito terrestre, forse per correre sulla scia delle comete, ma della sua presenza nelle emozioni e nella cultura del nostro tempo (sì, cultura) chi può dubitare? 

(Visited 1 times, 1 visits today)