Justine Triet guida con abilità la brava Virginie Efira nel complesso personaggio che interpreta in “Labirinti di donna”. E nella relazione con l’imprevedibile Adele Exarchopoulos, giovane star di un film che si gira a Stromboli, innamorata (e incinta) del primattore, che a sua volta ha una relazione con la regista. La quale, con molto coinvolgimento, deve gestire il nevrotico rapporto, sul set e nella vita
Quante volte vediamo uno psicoterapeuta rappresentato sullo schermo che è davvero bravo nel suo lavoro? I film di genere sono costellati da analisti che, grazie a metodi non ortodossi o alla loro palese non professionalità, mantengono la storia in movimento, sia che si innamorino dei pazienti sia che impazziscano. Interpretato con una verve intelligente e sottile da Virginie Efira, il personaggio che dà il titolo alla pellicola Sibyl diretta da Justine Triet è un’aggiunta notevole al club dei terapeuti. E il fatto che stia rubando le confessioni dei suoi pazienti per il romanzo che sta scrivendo è solo l’inizio: questo chic e comico psicodramma accumula decisioni sbagliate come tanti profiteroles in un croquembouche, ammirando lo spettacolo traballante del suo caos mentre procede. Dieci anni prima Sybil, all’epoca autrice di bestseller, aveva fatto un grande cambiamento di carriera per motivi personali, dopo la dolorosa rottura con il compagno Gabriel (Niels Schneider), col quale aveva avuto un figlio.
Ora è ragionevolmente felice con un nuovo partner, Etienne (Paul Hamy), anche se lotta ancora con la dipendenza dall’alcol. Ha avuto un altro figlio e desidera ardentemente tornare alla vocazione letteraria. E una delle sue pazienti ha una vita personale affascinante, problematica, che potrebbe curare il suo blocco dello scrittore: è Margot (Adèle Exarchopoulos, Adele), attrice di cinema che ha una storia sentimentale col famoso co-protagonista del film che sta girando, Igor (Gaspard Ulliel). Il quale è il padre del figlio di cui lei è incinta, ma intanto ha anche una relazione con la loro regista Mika (interpretata da Sandra Hüller, Toni Erdmann). Girano sull’isola di Stromboli, forse come omaggio a Roberto Rossellini e Ingrid Bergman.
Contro tutte le regole della corretta terapia, Sybil inizia a registrare di nascosto le loro conversazioni, per utilizzarle come materia prima della sua fiction letteraria, ma poi ha l’impulso di intervenire direttamente nella vita di Margot, cercando di modellarla come un narratore onnisciente. C’è un affascinante scambio reciproco nella loro strana amicizia, che non si basa necessariamente su uno squilibrio di potere. Invece di approfittare l’una dell’altra, Margot e Sibyl sembrano avere una tacita comprensione sul fatto che entrambe incarnino ciò di cui l’altra ha bisogno in quell’esatto punto delle loro tumultuose esistenze.
Efira, emersa come talento serio nel film Elle di Verhoeven dopo una carriera nella commedia televisiva, canalizza abilmente l’intensa fame di esperienza di Sibyl, interpretando diversi ruoli contemporaneamente: l’astuta psicologa, l’autrice in difficoltà, la mamma affettuosa ma negligente, l’amante fervida. E li interpreta ciascuno molto bene, trasformando gli stati alterati di Sibyl in un tutt’uno che riflette il suo desiderio di essere molte cose contemporaneamente.
Scritta insieme ad Arthur Harari (Dark Inclusion), la sceneggiatura è un mood board in continua evoluzione di trame, illusioni e flashback, che possono sembrare opprimenti in alcuni punti e un po’ cliché in altri, come se i realizzatori avessero gettato troppi ingredienti nel piatto senza alcun filtro o moderazione. Ma Triet mostra una mano mirabilmente ferma con quello che potrebbe sembrare un materiale traballante e riesce a costruire un ritratto complesso e multidimensionale di una donna di talento vittima dell’impazienza di avere tutto: carriera, famiglia, ispirazione creativa e una buona vita sessuale. Che finisce per cadere vittima di questa sua ambizione.
Sybil, di Justine Triet, con Virginie Efira, Adèle Exarchopoulos, Gaspard Ulliel, Sandra Huller, Laure Calamy, Niels Schneider