Se a un regista oggi fosse data carta bianca, l’Italiana di Rossini difficilmente sfuggirebbe al destino di finire a Kabul. Non è il caso della storica (e bellissima) edizione di Ponnelle, ripresa in questi giorni alla Scala con Dantone a reinterpretarla sul podio
Un Rossini chiuse la porta, tre Rossini la riaprono. Si fa fatica a ricordare, ma il virus calò di schianto la saracinesca sulla Scala con Il Turco in Italia, il 22 febbraio 2020. Da allora il teatro è rimasto quasi muto, con qualche pur notevole eccezione, e il pubblico sempre lontano, questo sì senza eccezioni, fino alle Nozze di Figaro dirette da Daniel Harding alla fine di questo giugno, prima opera “in presenza”. Per sedici mesi la sala avorio-rosso-oro del Piermarini (avorio-azzurro-oro in origine) si è trasformata in smisurato golfo mistico per l’orchestra, prima (ottobre 2020) con una sperduta Bohème tutta streaming, poi con il concerto anniversario della ricostruzione, l’ospitalità dei Wiener e di Riccardo Muti, la pur splendida Salome e il prezioso dittico Weill diretti da Chailly. Le poltrone sempre sepolte sotto un assito.
Rossini ha tentato di rimettere piede in palcoscenico con L’Italiana in Algeri nell’aprile di quest’anno. Avrebbe dovuto essere il ritorno alla quasi normalità, ma anche la primavera delle speranze si è rivelata triste: un’infezione nel cast ha ricacciato tutto in magazzino.
Gioachino, che di superstizioni s’intendeva, ha modo di rifarsi oggi con gli interessi: l’Italiana va finalmente in scena venerdì per quattro recite (10, 13, 16, 18 settembre) ed è la prima di tre carte infallibili con cui la Scala allargherà le braccia fino al Macbeth del 7 dicembre. Il 30 settembre nasce infatti un nuovo Barbiere di Siviglia firmato da Leo Muscato e diretto da Riccardo Chailly, che si riprende dopo quasi trent’anni una delle opere più sue, raccogliendola dalle mani di Claudio Abbado. Il 13 ottobre risorge anche Il Turco in Italia che aveva affondato tutto, pur dopo una prima trionfale: regia di Roberto Andò, direzione di Diego Fasolis, ancora Rosa Feola protagonista. Insomma, nella riapertura della Scala 2021 c’è Rossini al cubo.
Ponnelle ad Algeri
Lo spettacolo con cui L’Italiana in Algeri torna al pubblico (930 persone in sala su 1.970 posti disponibili), è sempre quello del 1974: anello di una trilogia, con Barbiere e Cenerentola, che ha fatto storia e ogni volta ci si interroga se sia solo nostalgia tenere in vita. L’impianto è “narrativo” e allusivamente islamico, le scene e i costumi di un tempo in cui nel fare teatro non ci si poneva nemmeno il dubbio che si potessero pensare diversamente da come sono: descrittivi, ornamentali, storicizzati. La sostanza teatrale, cioè la regia, non la scenografia dei poveri di spirito, si regge ancora su uno scheletro che non mostra segni di osteoporosi. Se i cantanti sono anche attori, se la mano che riprende la regia (Grisha Asagaroff) non insiste sui guizzi che il tempo ha scolorito, sulle sfrangiature, il disegno di Ponnelle riesce ancora a rendere “vero” il dialogo tra i personaggi, ed elettrico il palcoscenico.
L’Italiana a Kabul
Ma oggi? Se a un regista accorto, in sintonia col suo e nostro tempo, fosse data carta banca per riprenderla in mano adesso, in questi giorni, L’Italiana da Algeri difficilmente sfuggirebbe al destino di finire a Kabul.
Il libretto su cui Rossini (ventun anni, ventuno!) fu chiamato a scrivere nel 1813 non era nuovo: l’aveva messo in musica Luigi Mosca nel 1808 per la Scala, che caso, con tiepidissimo successo. La storia sembra nata dalla vera cronaca del rapimento di una italiana, Antonietta Frapolli, finita in un harem non si sa fino a che punto allegra e felice.
La protagonista di Rossini, Isabella, è una delle celebrazioni più virtuosistiche del trionfo dell’astuzia femminile che difende con metodo il proprio corpo e la propria “anima” dagli assalti del maschio. Che nel caso ha la barba del basso buffo, Mustafà, bey di Algeri, e potrebbe anche essere barba di scuola coranica, talebana, islamica tout-court, o anche di esemplare caucasico mosso da identiche passioni. Perché l’eroina di Rossini è capace di dominarle tutte, le barbe.
La storia in breve racconta questo. Mustafà si è stancato della moglie, Elvira, e ha deciso di disfarsene per farsi Isabella, che lo eccita di più, ma le arti dell’Italiana, che per Dario Fo era “signora casta e puttana”, lo rigirano al punto da trasformarlo in un ridicolo pupazzo (irresistibile la trappola del “Pappataci”), da restituirlo pentito e convinto alla sua prima (o principale) sposa, lasciando l’incontenibile donna fuggire trionfante insieme a Lindoro, l’amante ch’era andata a cercare per mare, ritrovato schiavo alla corte del bey.
Difficile resistere alla tentazione di proiettare Isabella sullo schermo delle brutture di oggi, di farle consumare, a suon di virtuosismi mezzosopranici, una esemplare vendetta in nome di tutte le donne, afghane e non. Del resto, anche a Stendhal L’Italiana in Algeri faceva “dimenticare la tristezza del mondo”. Ogni tempo ha i suoi Afghanistan.
Attenti al Tedeschino
Scritta nel 1813, tre anni prima del Barbiere e quattro prima di Cenerentola, L’Italiana ci consegna già la maschera arguta di un Rossini profetico. Ci trascina in un teatro sempre “in equilibrio tra virtuosismo e rigore” (Ponnelle), in una drammaturgia “essenziale e straripante” (Dario Fo), che per tornare a eccitarci ancora oggi ha bisogno di musicisti capaci di renderla nella sua rigorosa sregolatezza.
Per questo abbiamo atteso con pazienza che il tempo desse la possibilità di esprimersi a un direttore come Ottavio Dantone, che ha radici, cultura e pratica nella musica italiana che va dal Rinascimento al primo Ottocento. Fa quasi tenerezza rileggere le note che Claudio Abbado scriveva in presentazione della sua Italiana in Algeri, condotta, come Barbiere e Cenerentola, sulle prime revisioni critiche della Rossini Renaissance: “eliminare tromboni e timpani”, reintegrare i due ottavini originali (evocazione delle turcherie), restituire un’orchestra “più agile e brillante” di quella seppellita sotto le incrostazioni di prassi senza criterio.
Dantone promette di andare oltre e di far guizzare le scintille che Gioachino, ammazzatosi fin da ragazzo sulle partiture dei sinfonisti doc, sparge a piene mani nell’orchestra dell’Italiana, come le folli diteggiature sul ponticello. Rossini “il Tedeschino”.
E per chiamare anche il canto alla sfida rossiniana per eccellenza, quella verso l’impossibile, Dantone ha una compagnia piena di promesse: la francesina Gaëlle Arquez come Isabella, Mirco Palazzi come Mustafà, Maxim Mironov e Antonino Siragusa nella parte di Lindoro (e saranno entrambi Lindoro nel vicino Barbiere), Roberto de Candia come Taddeo, Enkeleda Kamani come Elvira, Svetlina Stoyanova come Zulma, Giulio Mastrototaro come Haly. Svariati di loro con gli anni di tanti che studiano a testa bassa per diventare Rihanna.
Foto di copertina: Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala