La regia che il pubblico di forse quattro generazioni ha assaporato alla Scala per quarant’anni lascia il passo a una nuova firmata da Leo Muscato. Complice Riccardo Chailly che coglie l’occasione per riprendere il filo delle sue passioni giovanili. Eseguiamo il Barbiere di Siviglia in forma integrale – spiega a Cultweek il direttore d’orchestra – a coronamento di un viaggio molto attento nell’interpretazione storicamente consapevole di Rossini
Spettacolo elettrico e “frizzante”, promettono i cantanti, musicalmente svelto, anzi “veloce”, molto veloce, incalza il direttore, per accendere quella “frenesia collettiva” che in Rossini significa “gioia di vivere”. Gli interpreti, tutti giovani, il direttore di fama, il regista esperto ma che qui debutta, sollecitano grandi attese per il nuovo Barbiere di Siviglia che da domani, 30 settembre, entra alla Scala per sei recite prendendo il posto di una produzione che sconfina nel mito.
Quando devi sostituire una regia come quella che Jean-Pierre Ponnelle cesellò nel 1969, che Claudio Abbado coronò di fraseggi e scatti inediti, che da allora con una sola eccezione (1999) è stata ininterrottamente ripresa a ogni riproposta del titolo, il peso è da togliere il fiato. Comunque succede davvero: lo spettacolo che il pubblico di forse quattro generazioni ha assaporato per quarant’anni, eleggendolo a modello insuperato della frenesia rossiniana, sta per essere sostituito (e definitivamente archiviato?) da uno “fresco” che porta la firma di Leo Muscato, regista di teatro di parola e di musica (più di venti regie liriche), abbastanza giovane e abbastanza attrezzato per assumersi la responsabilità di un ricambio rischioso.
Riccardo Chailly ha accettato convinto che sia questa l’occasione per riprendere il filo delle sue passioni giovanili. Perché? “Tutti sanno quanto il mio legame con Rossini sia forte. Ho registrato molto giovane Guglielmo Tell con Mirella Freni e Luciano Pavarotti, il Barbiere con Marilyn Horne e Leo Nucci negli anni Ottanta. L’ho diretto alla Scala nel ’99, regia di Arias, con Frontali, Ganassi e Florez che debuttava alla Scala. Questo nuovo allestimento è la prima vera produzione di Dominique Meyer da quando è sovrintendente; non potevo non esserci. E con questo spettacolo posso proseguire un percorso italiano che ha lasciato segni indelebili sull’interpretazione di Rossini. Da quando Claudio Abbado lo diresse per la prima volta, lavorando sui materiali delle prime revisioni critiche, il Barbiere è stato il preludio di quella Rossini Renaissance che poco dopo il ’69 avrebbe preso il volo. Oggi eseguiamo il Barbiere in forma naturalmente integrale, salvo quale piccolo taglio nei recitativi, sulla base della revisione di Alberto Zedda, a coronamento di un viaggio molto attento nell’interpretazione storicamente consapevole di Rossini”.
Per tutti i cantanti Chailly ha parole di incitamento. Per Mattia Olivieri, baritono italianissimo, già Dottor Malatesta nel Don Pasquale: “Tu sei Figaro. Sei l’opera buffa italiana”. Per Svetlina Stoyanova, che “unisce arte scenica e capacità vocale”. Per il tenore russo Maxim Mironov, Conte di Almaviva, personaggio sul quale l’opera si chiude, “fino a farci discutere, Muscato ed io, se non fosse quasi opportuno riprendere il titolo Almaviva, o l’inutil precauzione”. Per il Bartolo di Marco Filippo Romano, al quale “chiedo tempi, sul sillabato, quasi quattro volte più veloci. Non per esibizionismo, ma appunto per caricare quel senso di frenesia collettiva che attraversa tutta la musica di Rossini”. Per il Basilio di Nicola Ulivieri, ch’è giovane, “ma molti dei miei colleghi li ho visti nascere musicalmente”.
Regia con sorpresa? Pare proprio di sì. “A ogni titolo che ho affrontato, l’approccio è sempre stato lo stesso: resettare tutto quello che penso dell’opera – dice Leo Muscato -. Così, anche in Barbiere di Siviglia ho scoperto l’acqua calda: che tutti i personaggi c’entrano con la musica. Fin dall’inizio. Nella prima scena Fiorello porta dei musicanti. Almaviva canta due serenate, alla chitarra. Con Rosina, potrebbe anche suonare il clavicembalo. Bartolo loda i cantanti del passato, per lui naturalmente ineguagliabili, come Caffarelli. Rosina prende lezioni di musica. È venuta anche in soccorso la rilettura di Beaumarchais: l’aria di Figaro è una scena in cui riscrive le parole di un libretto. Ad Almaviva dice: ho scritto un’opera ch’è caduta miseramente e devo fare delle modifiche.
Così ho provato a immaginare il Barbiere ambientato in un teatro. I tre spazi che conducono ad altrettanti cambiamenti di scena, diventano circa diciotto cambi in un teatro dove si sta provando un’opera, L’inutil precauzione. Bartolo è l’impresario di questo teatro in cui Rosina è quasi costretta, com’è ‘in sepoltura’ nella casa del tutore. Figaro è il tuttofare del testo? E io l’ho caricato anche di un impegno extra: segnalare i cambi di scena schioccando le dita. Fiorello è il primo violino dell’orchestra. Berta, la vecchia governante che sbuffa, diventa coreografa del corpo di ballo. Il Conte d’Almaviva distribuisce spartiti e dirige l’orchestra. Il tutto dando un senso reale che segue le idee musicali, in sintonia con Riccardo Chailly. Tutto questo non sarebbe stato possibile se non con una compagnia di cantanti-attori come questa, perché il nostro è uno spettacolo dedicato ai giovani”.
Entusiasmo Under 30. E se lo spettacolo è dedicato ai giovani, la recita di lunedì sera, riservata agli Under 30, l’ha approvato in anteprima. Di più: un vero trionfo. Con applausi speciali per Chailly, il Figaro di Olivieri e il Bartolo di Romano. Buon avvio di carriera.
Senza tempo. “Insieme a Riccardo Chailly – annota Muscato – abbiamo cominciato a parlare di questo Barbiere molti mesi fa. All’inizio l’idea era di storicizzare un po’ di più, ma Riccardo ha obiettato che storicizzando avremmo raccontato solo un mondo. Così abbiamo scelto di fare in modo che il sipario si apra su una realtà riconoscibile come nostra, attuale, con abiti di oggi, ma in fondo atemporale. A-temporalità e a-spazialità come luoghi di una metafora. Crediamo di aver messo in moto una macchina che riesca a tenere insieme una cifra estetica per i prossimi anni. Quella di Ponnelle c’è riuscita per quarant’anni, chissà”.
Balletti? Se Berta si trasforma in maître de ballet, significa che in questo spettacolo si danza? Pare di sì. “Certo che nel Barbiere non ci sono balletti – precisa Nicole Kehrberger, coreografa dello spettacolo –, ma poiché siamo in teatro, e in un teatro c’è sempre un corpo di ballo, abbiamo immaginato di mettere in scena delle danze in tema con quel che i protagonisti sentono e cantano, che evidenziano quel che il personaggio non dice”. Danze anche queste senza tempo? “Stilisticamente non di un periodo specifico, ma mi sono lasciata ispirare dall’Ottocento, con spirito moderno”.
Tre precisazioni in musica, aggiunge Riccardo Chailly. Prima: “La Sinfonia, che non è originale del Barbiere, ma ne conosciamo il valore, non ha alcuna rappresentazione”. Non c’è alcuna sovrapposizione di immagini e di azione, come spesso piace fare: si conferma la classica funzione della Sinfonia avanti l’opera come “avvertimento e arricchimento puramente strumentale dell’andare in scena”. Seconda: “Riscopriamo il sistro, questo sconosciuto, strumento che Rossini inserì per dare un colore nuovo, inedito, atipico”. Terza: “Il fortepiano, invece che il clavicembalo, sia per timbro fra gli strumenti, sia come voce di accompagnamento. Più duttile nel sottolineare i recitativi. Nei quali raccomando sempre ai cantanti: non allargateli, saltate loro addosso, siate veloci. Il fortepiano li assiste non solo con la scansione degli accordi, ma anche con linee di delicata improvvisazione”.
Insomma, la locandina riassume questo: Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini. Direttore Riccardo Chailly, Regia di Leo Muscato, scene di Federica Parolini, costumi di Silvia Aymonino, luci di Alessandro Verazzi, coreografia di Nicole Kehrberger. Cast: Mattia Olivieri (Figaro), Svetlina Stoyanova (Rosina), Maxim Mironov/Antonino Siragusa (Conte di Almaviva), Marco Filippo Romano (Bartolo), Nicola Ulivieri (Basilio), Costantino Finucci (Fiorello), Lavinia Bini (Berta).
E la sala? Le sei recite sono date già per esaurite, ma sui 930 posti che finora le regole strette della pandemia hanno concesso. L’innalzamento della capacità di sala all’80%, appena approvata, libererebbe altri 659 posti a sera. Dando per definitivamente chiuso il 30 settembre, sarebbero 3298 posti per le cinque repliche di ottobre. Che il sereno sia davvero tornato? Aspettiamo date certe.
In copertina: Olivieri/Figaro e Stoyanova/Rosina
Tutte le foto sono di Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala.