In realtà “Cry Macho – Ritorno a casa”, diretto e interpretato dal 91enne Clint Eastwood, più che un rilancio del western, nonostante lui risalga a cavallo e si rimetta in testa lo Stateson, è una specie di commedia agrodolce a lieto fine. Ma questa linea a forte tasso di sentimenti facili e popolari, lo ha allontanato dai suoi capolavori controcorrente da Oscar, epico-patriottici e davvero iconici
Ci sono storie d’amore che non finiscono mai: quella tra Clint Eastwood e il cinema, il suo cinema, è una tra le più longeve che Hollywood ci abbia mai regalato. A volte, però, la longevità artistica diventa accanimento terapeutico (vero Woody Allen?), e bisognerebbe avere il coraggio di staccare la spina della macchina da presa, per godersi i meritati frutti di una pensione ampiamente guadagnata sul campo. Gli stessi meriti per cui ci sarà sempre almeno uno spettatore pronto a concedere a ogni nuova uscita il beneficio del dubbio, anche a costo di rimanere costantemente e inesorabilmente deluso. Perché, di tutti gli amori, quello per il grande cinema sa essere tra i più irrazionali.
Nel corso degli anni Clint, star classe 1930, è stato in grado di guadagnarsi un posto d’onore nell’Olimpo del grande schermo, stupendo più volte con una visione e uno stile capaci di coniugare storie senza tempo e lucide analisi dell’attualità, prendendo ogni volta la parte degli anti-eroi e mostrandosi a più riprese più open minded (nonostante le dichiarate simpatie repubblicane) di tanti colleghi democratici. Eppure, siamo onesti, da un bel pezzo ormai il vecchio Clint non è più quello di un tempo: anche il nuovo Cry Macho – Ritorno a casa, infatti, appartiene a quel filone senil-intimista inaugurato col banalissimo Gran Torino e che ha ormai soppiantato l’epica patriottica controcorrente dei grandi capolavori nella filmografia eastwoodiana, da Un mondo perfetto a American Sniper, passando per i gioielli Flags Of Our Fathers e Letters From Iwo Jima (senza contare i vari Gli spietati, Mystic River, Million Dollar Baby…).
Come anche i suoi più recenti predecessori, invece, Cry Macho – Ritorno a casa è ancora una volta la dimostrazione di quanto sia difficile, se non impossibile, applicare al quotidiano una poetica come quella di Eastwood, che per dare il meglio di sé avrebbe bisogno di ben altri eventi e scenari. Non basta scongelare alla bisogna l’eterno texano dagli occhi di ghiaccio, mettendogli in testa l’ennesimo cappello da cowboy e circondandolo di cavalli al galoppo, per rimediare a dialoghi un po’ scontati e a una vicenda che fatica tremendamente a prendere il ritmo giusto.
Peccato davvero, perché non tutto è da buttare: forse sarebbe bastato sostituire la mano tremolante dell’anziano pistolero, ancora una volta interprete principale, e che ha da poco compiuto novantun anni, con un protagonista con qualche anno in meno e qualche espressione in più. Non che con le nuove leve vada meglio, per la verità: il giovane co-protagonista Eduardo Minett sembra un omaggio al cinema neorealista d’altri tempi, quello con gli attori presi dalla strada e catapultati sul set senza una sola lezione di recitazione.
Ma allora cosa resta? Paradossalmente, a tenere a galla il film è proprio la vicenda che il regista decide di mettere in scena: tratti dall’omonimo romanzo scritto negli anni Settanta dal drammaturgo e sceneggiatore N. Richard Nash, soggetto e script sembrano cuciti su misura per l’Eastwood attore come meglio non si potrebbe. Se nei panni dell’anziano punto e basta sembrava una figura esile e quasi patetica, nei panni dell’eterna icona western gioca innegabilmente in casa, salvando il salvabile quasi senza sforzo e nonostante gli evidenti limiti anagrafici. Quel che forse spiazza di più, però, è tutto quello che gli succede attorno: Cry Macho – Ritorno a Casa è, a conti fatti, una vera e propria commedia agrodolce, in cui tutti sorridono e in cui le (poche) avversità vengono superate con una gag o un colpo di scena da pellicola per famiglie.
Eppure, una volta scesi a patti con la novità del binomio Clint Eastwood – sentimenti a buon mercato, sono proprio questi momenti a dare al film quella ragion d’essere che mancava per esempio nell’insipido Il Corriere – The Mule, conquistando per una volta le simpatie dello spettatore con una trama dal perfetto spirito prenatalizio e dal più che ovvio lieto fine. Un lieto fine che sa quasi di commosso commiato a tutto ciò che uno degli attori e registi più iconici di sempre ha rappresentato per la storia di Hollywood. Se anche questo fosse davvero (ma non illudiamoci) il suo addio alle scene, sarebbe comunque un lasciarsi bene, con il tenero ricordo di ciò che è stato fino all’ultimo e la sensazione d’aver dato e ricevuto tutto quel che si poteva.
Cry Macho – Ritorno a casa di Clint Eastwood e con Clint Eastwood e con Eduardo Minett, Natalia Traven, Dwight Yoakam, Fernanda Urrejola, Horacio Garcia-Rojas