Due ore abbondanti di battute modeste e noia crescente per l’atteso film ispirato al mitico fumetto creato negli anni 60 dalle sorelle Giussani. L’opera di Antonio e Marco Manetti resta freddina e senza emozioni, nonostante le avventure. Peccato per Miriam Leone e Valerio Mastandrea, bravi ma smarriti in una sceneggiatura senza guizzi. E quello di Luca Marinelli sembra un tipico caso di mistcasting
Mi ricordo che quando da bambina leggevo Diabolik, lo facevo con il cuore in gola e quasi di nascosto, un po’ per l’avventura in sé stessa, un po’ perché a quei tempi di ingenua pruderie il fumetto di Diabolik aveva un fascino vagamente sessuale, come se in quelle pagine ci fosse un mondo inconfessato e misterioso, fatto di donne bellissime, spesso chissà perché in accappatoio, pronte a fare qualsiasi cosa, e quel qualcosa evidentemente significava andare a letto con Diabolik, quell’essere dal fisico perfetto e dallo sguardo spietato. Mio dio, cosa poteva mai succedere! Considerando poi tutto quel gran mascherarsi (ma era latex?) quanto potevano essere torbidi i rapporti? Insomma, era una sensazione deliziosa essere lì, sul letto e con la porta chiusa, a partecipare con la fantasia agli inseguimenti, ai furti e ai ruvidi baci, a un mondo distante anni luce dai Topolino che leggevamo normalmente.
Quindi immaginate la delusione di fonte all’attesissimo Diabolik dei Fratelli Manetti – atteso perché bloccato dall’inizio della pandemia – un film dell’inutile durata di due ore, due ore di noia mortale. Perché non ha una direzione precisa, e non è emozionante. Troppo serio per essere divertente, troppa poca tensione per essere un poliziesco. Non è kitsch ma non è neanche veramente elegante, insomma non sembra avere un carattere. A partire dalla scelta di recitazione imposta agli attori, che sembra una parodia, una macchietta. Sopra le righe, senza nessuna verve, finta. All’inizio pensavo fosse una scelta voluta (anche se non ne capivo bene il senso) ma poi, scavallata l’ora, la parodia sembra solo una pena crudelmente inflitta ai poveri spettatori.
Ed è un peccato, perché Miriam Leone nei panni di Eva Kant e Valerio Mastandrea in quelli dell’ispettore Ginko sono giusti, quindi è triste vederli costretti in una sceneggiatura senza alcun guizzo, piena di frasi fatte. Soprattutto Miriam Leone, che in qualche modo è la colonna portante del racconto (succede in un film dove il protagonista principale il più delle volte viene interpretato da altri personaggi, quelli in cui lui si incarna grazie alle famose maschere). L’attrice si sarebbe meritata di più dei bellissimi vestiti che indossa; si meritava frasi che avessero un carattere, che ne dimostrassero l’intelligenza. Invece sono pochissime, appese qui e là in mezzo ai completi anni ’60, come degli abiti smessi della stagione prima.
Mastandrea da parte sua è come sempre bravissimo, perché ha imparato a togliere sempre di più dalla sua recitazione, ma persino lui a volte pare come se si vergogni delle battute che deve dire, o tutte le volte che enfaticamente gli tocca pronunciare il nome di Diabolik. Un discorso a parte va fatto per Luca Marinelli, che conosciamo tutti per essere bravissimo. Ma in questo caso assistiamo a un triste caso di “miscasting”, ovvero quando viene scelto l’attore sbagliato. Non basta avere gli occhi azzurri per interpretare Diabolik. E Marinelli ha un altro animo, un altro carattere, che non corrisponde a quello freddo e spietato del personaggio creato dalle Sorelle Giussani. Non è che perché ha fatto Jeeg Robot è perfetto per ogni genere di cattiveria. Quella fredda, conturbante e perché no, sessuale, di Diabolik non è la sua. E un po’ lo deve aver capito anche lui visto che pare non ci sarà nei previsti altri due episodi in produzione. Per carità, è comunque bravissimo, ma c’è un senso di spreco. Che è un po’ il senso che si ha per tutto il film.
La verità è che non basta un fumetto di successo per fare un bel film. E l’operazione pensata dai Fratelli Manetti per Diabolik lo dimostra. L’azione compendia due episodi importanti della storia di Diabolik, l’incontro con Eva Kant e il furto del suo diamante rosa e in seguito un furto di gioielli e lingotti d’oro che appartengono al cattivo di turno, George Caron viceministro della giustizia di Clerville, interpretato da Alessandro Roja, anche lui che fatica a districarsi in una parte senza alcuna sfumatura. Ma sono due episodi appiccicati con il Bostick, e rendono il film interminabile. Dove non ci si emoziona neanche per un minuto, tantomeno si prova paura o almeno una lieve tensione. Tutto è algido, senza cuore. E non bastano gli scorci di una Milano anni ’60 o le case da architetto con vista sul lago. Perché quella sensazione di leggera patacca stranamente rimane attaccata anche alle cose, e invece di entrare in un simpatico tunnel nostalgico fatto di vecchi giradischi e pannelli di legno biondo, si prova quasi un fastidio da tanto lavoro per nulla, perché quello che manca è tutto il resto.
Insomma, è un dispiacere per chi scrive essere così negativo. Diabolik avrebbe dovuto essere un piccolo punto di partenza per un progetto tutto italiano che avrebbe dovuto unire il mondo del fumetto a quello del cinema, in un’operazione che non chiedevo essere avvicinabile a quella fatta dalla Marvel. Ma in questo siamo proprio anni luce lontani. Il vero furto qui è quello fatto ai tanti ansiosi fan di un personaggio fra i più amati dagli italiani, che si aspettavano un bel film e invece si sono sentiti beffati come l’ultimo degli ispettori di polizia.
Diabolik di Antonio e Marco Manetti, con Luca Marinelli, Miriam Leone, Valerio Mastandrea, Claudia Gerini, Vanessa Scalera, Serena Rossi, Alessandro Roja, Stefano Pesce, Lorenzo Pedrotti, Luca Di Giovanni, Antonino Iuorio