Lo snervante naufragio di una esistenza in cui nulla viene scelto per davvero: Biagio soccombe senza consapevolezza. La lotta per diventare sè stessi nel nuovo romanzo di Maurizio Fiorino, “Macello”, pubblicato da e/o.
Biagio sembra non esistere. Ci si ingarbuglia, nelle pagine di Macello, nella vita di questo giovane senza strada, allo sbando, in un Sud che impone le radici: questo non è tradizione, non è famiglia, non è valore, nel romanzo di Maurizio Fiorino, pubblicato da e/o, il Sud è un terreno che incatena e a cui si deve sempre ritornare, un territorio con cui è obbligatorio farci i conti.
Non c’è un’unica storia, perché quelli di Biagio sono sprazzi di vita continuamente interrotta, frammentata e dimenticata. Dopo la scomparsa del padre Bruno, il giovane non riesce né a trovare una sua strada, né a percorrere quella del padre, incespica in un futuro che pare impossibile su tutti i fronti senza mai produrre un suono diverso, quello della vittoria, quello del riscatto.
Mi sentivo diverso, ma non riuscivo a capirne il motivo. Cominciai a credere alle parole di mio padre, cioè che ero stupido.
Gli credetti per comodità, poiché non trovavo un’altra ragione.
A scuola, finché c’ero andato, non riuscivo a mantenere la concentrazione. La geografia era un agglomerato di mappe e colori a cui non riuscivo a dare un nome. La storia, un lungo viaggio che non mi portava da nessuna parte. Le regole grammaticali e quelle matematiche, anche le più basilari, lingue astruse: non capivo perché avrei dovuto impararle.
Insieme al corpo mutevole e spesso intangibile di Biagio, si accumulano una serie di donne e uomini che entrano nella sua vita, senza all’apparenza provocargli il minimo cambiamento, come una raffica di vento che al momento spettina, squilibra, sorprende ma che scappa via, senza lasciare segni.
Lo travolgono donne e uomini, componenti di una parata di esseri deformi, membri di un circo di stranezze che lo scuotono quel poco per farlo sentire vivo – Biagio è più un sopravvissuto, che un vivente – e che poi lo abbandonano nella mente.
Tra questi ci sono Vittorio, il vecchio “vizioso” che sembra l’unica figura autentica di tutto il romanzo, lui che sembra tornare con costanza nella vita di Biagio, e Sara, la donna che il protagonista sposa soltanto per quell’idea, così sbagliata nel profondo, che in due tutto è più sopportabile.
Sposai mia moglie all’inizio di quell’estate.
Il giorno del nostro matrimonio Sara era incinta di poco più di un mese, ma non l’avevamo detto a nessuno, neanche ai suoi genitori.
Una mattina fece il test di gravidanza e appena scoprì di aspettare nostro figlio venne ad abbracciarmi. La strinsi forte e le dissi che era una notizia bellissima. Poi le chiesi di sposarci subito, senza aspettare, cosa ce ne importava degli altri. Fu un matrimonio organizzato alla bell’e meglio, con pochi parenti. Io indossavo un abito elegante, il papillon di seta che mi aveva regalato Elsa, il doppiopetto. Lei un abito bianco con lo strascico, il velo. Le sue cugine le fecero da testimone. I miei furono due amici di Sara.
In Macello il padre non viene ucciso, di conseguenza il figlio non può diventare adulto: è la bozza di una vita, un’esistenza castrata che non riesce compiersi, un bombardamento di conseguenze di chi viene messo al mondo e lasciato senza strumenti a sopravvivere in una presenza non scelta.