È ripreso il viaggio musicale di Branduardi per le nostre città. “Il Menestrello italiano” nel suo ultimo album ci racconta del suo rapporto spirituale con Hildegard Von Bingen, monaca, poetessa, compositrice e naturalista vissuta nel XII secolo. E di quali cambiamenti sono avvenuti lungo un percorso di oltre 45 anni di carriera alla riscoperta del patrimonio melodico dell’antica europa
Un concerto diverso dal solito quello che il 21 febbraio accoglierà al Teatro Dal Verme il cantautore Angelo Branduardi, impegnato nel tour che prende il nome dal suo ultimo album in studio: Il cammino dell’anima.
Sul palco con lui ci saranno Fabio Valdemarin (che ha curato gli arrangiamenti nel disco), Antonello D’Urso, Stefano Olivato e Davide Ragazzoni. Uno spettacolo idealmente diviso in due parti. La prima dedicata all’album, la seconda all’esecuzione di brani cari all’artista, tra cui Momo’s Lied (1986, colonna sonora dell’omonimo film tratto dal romanzo di Michael Ende) e gli immancabili successi storici come Cogli la prima mela e Alla fiera dell’est.
Protagonista indiscusso è comunque il suo disco più recente: nove tracce che scorrono senza interruzioni in meno di trenta minuti ma che lasciano impressioni suggestive e profonde. Non è un caso visto che tutto ruota intorno ad una figura la cui vita fu densa di spiritualità. Si tratta di Hildegard von Bingen, monaca benedettina tedesca vissuta nel XII secolo. Una donna che nella sua lunga vita fu poetessa, compositrice, scrittrice e naturalista; che compì diversi viaggi in tutta Europa interagendo con imperatori, pontefici e teologi.
Come sappiamo, molte delle musiche più famose di Branduardi traggono ispirazione da brani di un passato lontano e a volte dimenticato. Questa volta il cantautore ci porta a riscoprire parte del patrimonio musicale antico europeo, svolgendo insieme a Luisa Zappa (sua moglie e compagna d’arte) un appassionato lavoro filologico sui testi e sulle musiche della monaca benedettina. Le armonie e le nuove sonorità degli strumenti più moderni si fondono con l’opera originale e gli strumenti antichi, in una delicatezza che culmina nelle ultime due tracce e nella Coda finale, orchestrata dal M° Stefano Zavattoni. Un album breve e semplice ma che proprio per questo emoziona, perché traspare l’esigenza di un artista che ha desiderato fortemente esprimersi e diffondere ciò che lo ha emozionato, mostrando la libertà di chi vive senza paura la propria arte e la propria spiritualità.
Abbiamo avuto il piacere di rivolgere ad Angelo Branduardi qualche domanda su questo suo ultimo lavoro e sul prossimo concerto.
Il cammino dell’anima è uscito ad ottobre 2019, con il tour interrotto subito dalla pandemia e poi ripreso nel 2021. In alcune interviste precedenti aveva dichiarato di non avere ancora avuto il tempo di metabolizzare questo lavoro per esprimere un’opinione a proposito. Oggi cosa ne pensa?
C’è chi l’ha definito un’opera folle. Beh… Io di cose folli ne ho fatte tante, alcune sono state successi planetari altre invece dei fiaschi, ma perché seguo sempre e solo il mio istinto e il mio piacere. In questi anni ho avuto tutto il tempo di riascoltare l’album e, se posso essere immodesto, lo trovo un lavoro molto bello e coraggioso. Per me è importante soprattutto il fatto che faccia conoscere a chi lo ascolta un personaggio incredibile, una donna pazzesca che tra le tante cose a cui si dedicava scriveva anche musica.
Parliamo di Hildegard von Bingen, monaca benedettina del XII secolo. Come l’ha conosciuta?
Ero partito dall’idea di cercare nella storia una donna compositrice, così ho conosciuto Hildegard. Sono rimasto colpito dalla sua musica e anche dai testi decisamente innovativi per l’epoca, in cui è presente un riscatto e un’esaltazione della donna. “A capo eretto nel suo orgoglio verso di Te si è rialzata Eva…”: la Madonna che perdona Eva, siamo ai limiti della blasfemia! Non a caso è stata un idolo delle moderne femministe.
L’album trae ispirazione specialmente dall’Ordo virtutum, dramma liturgico in cui l’Anima protagonista deve combattere il Diavolo con l’aiuto delle Virtù celesti. Il fatto di aver scelto un tema religioso ha per lei un significato particolare?
Non ho atteggiamenti di tipo fideistico. Come mi fu chiesto dai francescani quando scrissi L’infinitamente piccolo dedicato a San Francesco d’Assisi, l’opera non doveva essere intra nos ma extra nos, soprattutto per gli atei, per coloro che non credono. Anche per me è così, vorrei rivolgermi a tutti e credo che il desiderio più forte sia quello di far conoscere o riscoprire questi personaggi così incredibili e profondi, approcciandomi alle loro opere sempre con il massimo rispetto.
Rispetto e spontaneità, se posso aggiungere questa sensazione che l’album trasmette.
Assolutamente, è un’opera decisamente spontanea. Non ho mai fatto niente dietro calcoli. La spontaneità viene sempre prima di tutto ed è la cosa che arriva con più facilità, anche quando si traduce in opere non ben riuscite. Non so scrivere su comando se non nelle colonne sonore che ho fatto, ma lì è un discorso diverso perché quelle sono al servizio del regista e del film.
A proposito, nel programma del concerto è presente proprio uno dei suoi lavori per il cinema. Come ricorda quelle esperienze compositive?
Mi è piaciuto tantissimo e mi auguro sempre che mi chiedano di scrivere musica per film: è il mito wagneriano dell’opera totale, mancano solo gli odori, il resto c’è tutto. Ma occorrono storie in cui io possa veramente lasciare un’impronta mia e questo non è facile. Nel mio primo lavoro sono stato fortunato perché Luigi Magni mi chiese di comporre la colonna sonora per State buoni se potete e per me fu una grande soddisfazione anche ricevere dei premi (David di Donatello e Nastro d’argento ndr).
Che rapporto aveva con il regista di Tosca e Nell’anno del signore?
Gigi Magni è mancato da qualche tempo (2013 ndr) ma io non finirò mai di ringraziarlo. C’era un rapporto bellissimo con lui, eravamo amici. Abitavamo vicini a Roma e veniva a svegliarmi di notte per farmi vedere le prospettive delle strade, soprattutto Via del Corso, per guardare come erano state disegnate prima che le macchine turbassero il panorama. Poi mi faceva vedere tutte le case dove avevano abitato Byron, Shelley, Wagner… Un’esperienza bellissima che mi rimarrà sempre nel cuore.
Come in un film, il suo album ha una narrazione continua. Rimane tale anche in live?
Sì, sono trenta minuti di musica senza soluzione di continuità perché così l’abbiamo pensata e così la eseguiamo di nuovo in teatro. Ci sono, bontà loro, degli applausi del pubblico a scena aperta sulla musica, soprattutto sulla danza Gerusalemme, ma l’album viene eseguito come una suite e lo presento come tale. Su tutto il resto del repertorio invece si gioca e si improvvisa, mentre Hildegard va lasciata così com’è, sarebbe anche una mancanza di rispetto fare diversamente.
Oltre la forma, anche la scenografia è diversa rispetto ad esibizioni precedenti?
Effettivamente c’è stato un cambiamento. In passato ho fatto dei concerti pazzeschi, uno su tutti quello dell’83 con la scenografia di Lele Luzzati che è stato un mio caro amico. Era una produzione gigantesca, adesso invece tutto è molto più semplice: ho scelto di avere come sfondo un velo bianco, niente di straordinario anche se crea un bellissimo effetto. Mi servo di poche cose ma molto ben studiate a livello teatrale che mi permettano di creare la magia, l’atmosfera di Hildegard e degli altri pezzi che eseguo.
Si tratta di una scelta compiuta solo per questo tour?
In realtà no, credo che manterrò questo stile anche perché io indietro non torno e non credo che rifarei le vecchie pazzie. Anni fa ho suonato a Parigi di fronte a più di centomila persone e me lo ricordo come un incubo! È stato lì che ho deciso che quella non era la mia strada, non volevo fare la “rockstar”. L’ho fatta per parecchi anni ma non era la mia dimensione ideale, soprattutto con l’età. Adesso vado in posti più contenuti, faccio i miei tutto esaurito, ma parliamo di teatri. La struttura teatrale la trovo adatta: cerco qualcosa che non sovrasti la musica e che non sia uguale alle solite cose che ormai non mi interessano più.
Un’ultima curiosità. Nell’album lei dà la voce sia all’Anima che al Diavolo tentatore. C’è qualche motivo particolare?
In realtà è una scelta puramente casuale, non c’è nessun tipo di allegoria. Semplicemente l’idea di fare il diavolo mi divertiva tantissimo e devo dire che mi viene molto bene! È una figura che mi si addice, non trova?