Non solo Heidi e coltellini. È il paese della più grande collezione d’arte al mondo. Del suicidio assistito. della democrazia diretta. Ma anche di una complessa integrazione e di quattro lingue che convivono (anzi: cinque). La Svizzera oltre i luoghi comuni la racconta, con il consueto piglio curioso e sorprendente, la guida di The Passenger, pubblicata da Iperborea.
Ancora una volta la collana The Passenger della casa editrice Iperborea centra il bersaglio: svelare l’altra faccia della luna, cogliere cioè aspetti nascosti, trascurati, censurati, mistificati dall’opinione corrente.
Ci prova con una sfida davvero contro-corrente, ci prova cioè col paese più ricco, tranquillo, affidabile, pulito, ordinato, placido – tanto da sfiorare la noia – la Svizzera.
In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno auto guerre, terrore, assassini, massacri: e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci, e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cosa hanno prodotto? Gli orologi a cucù’. La battuta è di Orson Welles nel film Il terzo Uomo del 1949 e ha intaccato il nostro immaginario.
I saggi raccolti in questo volume si propongono di sfatare questo, insieme ad altri luoghi comuni sulla Confederazione Elvetica.
Basta leggere i titoli di ciascun argomento per capire quanta complessità stia oltre la soglia dello stereotipo.
A voler guardare senza superficialità, la Svizzera è un paese che non ha una lingua comune, multiconfessionale, in cui le autorità locali hanno lo stesso peso di quelli nazionali, circondato da grandi potenze – eppure coeso, longevo, stabile, forte. Questa Willensnation, nazione fondata sulla volontà – e non su basi etniche o linguistiche – è spesso vista con diffidenza, se non con aperta ‘elvetofobia’ (termine, questo, coniato da Guido De Franceschi).
In ‘Mitologia del Turismo’ Oliver Scharpf racconta di come i turisti si riversino in Svizzera in cerca di un idillio di aria pulita, prati fioriti, chalet di legno, di cui Heidi è l’ambasciatrice. Ai miti svizzeri Scharpf ha dedicato un libro intero, che è anche una indagine sulla corresponsabilità che gli stessi svizzeri hanno nella diffusione di un immaginario da cartolina.
Ne ‘Il paese dei plebisciti’, Georg Kreis racconta che un quarto dei referendum al mondo si tengono in Svizzera, la patria della democrazia diretta, guida e modello di partecipazione che, pur presentando momenti di criticità, resta invidiabile.
L’Economist traccia un ritratto di Rudolf Elmer, che per vent’anni si è scontrato con un nemico implacabile, la forza congiunta delle banche e dei tribunali svizzeri. Ne ha pagato un prezzo altissimo, ma la sua lotta ha contribuito a scalfire uno dei cardini del sistema finanziario del paese: il segreto bancario.
In ‘Sono pazzi questi svizzeri’, si racconta del paradosso di un paese pacifico e neutrale, ma armato fino ai denti.
Altro tema appuntito è quello dei cacciatori, e in misura minore del pastore, messi all’indice da una protezione ambientale che tende a colpevolizzarli in favore di un’artificiale museificazione delle montagne per i turisti.
Yari Bernasconi, poeta e giornalista, affronta il problema di un paese in mezzo all’Unione Europea eppure unione a sé stante: è un paese di confine, ma il rapporto con chi quel confine lo varca due volte al giorno è piuttosto controverso.
E, ancora, un capitolo di questo Passenger va al suicidio assistito: la Svizzera è uno dei pochi paesi al mondo in cui sia legale e ampiamente accettato dalla popolazione.
Infine un’indagine sul porto franco di Ginevra, una zona grigia dove, lontano da occhi indiscreti e autorità fiscali, si cela la più grande collezione d’arte del mondo.