Tra segreti e bugie la “primavera tunisina” esce allo scoperto

In Cinema

A tre anni dal premio al protagonista Sami Bouajila alla Mostra di Venezia esce “Un figlio” di Mehdi Barsaoui, dramma familiare che ruota intorno a un ragazzo in bilico tra la vita e la morte. Sullo sfondo però c’è la rivolta che portò nel 2011 alla caduta del presidente Ben Ali e la complessa transizione del paese, che vive il conflitto tra valori tradizionali e religiosi e istanze di modernità politiche e sociali

Cosa saresti disposto a fare per salvare un figlio da morte certa? Questa è la domanda fondamentale e terribile intorno a cui ruota Un figlio, opera prima del regista e sceneggiatore tunisino Mehdi Barsaoui. È l’estate del 2011, dalla vicina Libia giungono echi di guerra, in Tunisia la situazione appare relativamente tranquilla dopo le sommosse popolari che hanno portato alle dimissioni del presidente Ben Ali e in attesa delle elezioni per l’Assemblea costituente. Per Fares (Sami Bouajila), Meriem (Najla ben Abdallah) e i loro amici, appartenenti alla benestante borghesia araba, la modernità sembra una conquista ormai acquisita, nelle relazioni di coppia così come nei rapporti di lavoro, ma durante un viaggio verso Tataouine, nel sud della Tunisia, la loro auto viene coinvolta in una sparatoria fra l’esercito regolare e i fondamentalisti islamici, e il figlio Aziz (Youssef Khemiri), dieci anni, rimane gravemente ferito.

Ricoverato nell’ospedale di Tatouine, Aziz lotta fra la vita e la morte, e potrà sopravvivere solo se verrà al più presto sottoposto a un trapianto di fegato. Pratica che in Tunisia non è in assoluto vietata dalla legge ma è fortemente scoraggiata per motivi religiosi e permessa, soltanto a determinate condizioni, e solo all’interno dell’ambito famigliare. Questo momento di scelte drammatiche porta a galla segreti, bugie e tradimenti, sconvolgendo nel profondo gli equilibri di una famiglia che si pensava felice, di un uomo e di una donna che si ritenevano affrancati dai valori della società tradizionale e che si scoprono invece invischiati ancora e sempre in una visione patriarcale del mondo.

Tutto questo sullo sfondo di un paese in bilico fra passato e futuro, incerto, infelice, bisognoso di aria nuova – non solo da un punto di vista politico – e però apparentemente condannato a ripercorrere sempre gli stessi passi, riproponendo gli antichi errori. Una condanna ben raccontata nelle tante scene in cui i protagonisti si aggirano come topolini in trappola nei lunghi e claustrofobici corridoi dell’ospedale Tataouine, come in un labirinto senza via d’uscita. Un film che forse appare fin troppo scritto, condizionato da un eccesso di zelo nel voler mostrare ogni singola piega della società tunisina intrecciando punti di vista diversi e volendo affrontare fin troppi temi, compreso quello del traffico illegale di organi.

Ma sono peccati veniali, di un regista che alla sua prima opera riesce comunque a mostrare un indiscutibile talento nel restituire un credibile ritratto della società del suo paese nel momento dell’esplodere della cosiddetta “primavera araba”, fra drammatiche contraddizioni sociali e laceranti conflitti personali. Nonostante qualche momento didascalico, un film emozionante e sincero, che deve molto all’ottima interpretazione dei due protagonisti, Sami Bouajila (famosissimo in Francia e premiato come migliore attore nella sezione Orizzonti del festival di Venezia 2019) e Najla Ben Abdallah, marito e moglie anche nella vita.

Un figlio di Mehdi Barsaoui, con Sami Bouajila, Najla ben Abdallah, Youssef Khemiri, Slah
Msadek, Mohamed Ali Ben Jemaa

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