La dimensione misteriosofica del cantautore raccontata dall’amico scrittore, giornalista, nonché pianista Guido Guidi Guerrera nel libro “Franco Battiato. L’uomo dell’isola dei giardini”
Incontro Guido Guidi Guerrera, scrittore, storico giornalista del QN e della rivista Luce e biografo di Franco Battiato. Lo intervisto nel suo studio pratese e parliamo di musica e dell’ultimo dei suoi quattro lavori sull’artista siciliano, nel quale l’autore celebra con amore ed amicizia la sua esistenza.
Buongiorno Guido come stai?
Bene grazie
So che sei stato a Milo pochi giorni fa, il 18 maggio, a un anno dalla dipartita di Franco, per presentare Il tuo nuovo libro: Franco Battiato. L’uomo dell’isola dei giardini. Che cosa hai provato?
È evidente che l’emozione è stata grande, perché era un amico per me. È stato come tornare a quei momenti quando la sua voce mi chiamava dalla veranda quando arrivavo a Villa Grazia.
Tornare a Milo non è stato un pellegrinaggio. Ho voluto ricondurre tutto alla sua presenza. Quindi non rievocare una persona che non c’è più, ma ritrovare quelle scaglie di memoria che mi riportavano alla permanenza, al fatto che lui continuasse a essere vivo e presente.
Com’è andata la lavorazione del libro?
Mentre lo scrivevo ho avuto momenti di crisi. All’inizio ero preso da una grande tristezza, e questa si è tramutata in confusione.
immagino che non sia stata una passeggiata…
Non sapevo in che modo impostarlo, anche perché per i 3 precedenti sapevo che Franco era presente col corpo, ma come dice lui in una sua canzone, “un’invisibile carezza” mi ha toccato e da quel momento in poi ho capito che sbagliavo nel sentirmi bloccato, e che invece avrei dovuto riprendere quel dialogo che non si era mai interrotto, perché il dialogo fra anime persiste e continua anche quando la persona non c’è più.
In che senso?
In effetti questa vibrazione che ci legava interessava i centri del cuore. Paul Dirac (uno dei padri della fisica quantistica ndr) diceva che due sistemi che hanno interagito per un periodo di tempo anche se sono distanti, continuano questa interazione. Lo stesso Franco aveva capito come gli antichi maestri Sufi avessero anticipato da tempo questa teoria.
E poi la consapevolezza che la vita sia un passaggio che preluda ad un altro ritorno ed eventualmente ancora ad un altro.
L’Uomo dell’Isola della Giardini mi sembra un sunto emozionale e celebrativo di un artista che tu hai stimato moltissimo avendo anche la fortuna di esserne amico.
È un po’ un compendio di molte cose: è amore, è amicizia, è affetto, è passione, ed è stato anche l’antidoto migliore per colmare quel vuoto. Ricordo la prima volta che lo incontrai personalmente nel 1992 a Firenze quando lui portò l’album Fisiognomica al teatro Verdi. C’era Enrico Maghezzani (produttore del cantante dal 1985 al 1995 ndr) che mi fece entrare nel camerino di Franco, e io lo intervistai per Il Giornale dei Misteri, anche perché Giorgio Brunner voleva un bel pezzo su Battiato.
Quando lui seppe che scrivevo per quel giornale ne fu entusiasta. Noi quindi ci siamo incontrati sull’onda del comune interesse misteriosofico.
I primi libri sono eminentemente esplorazioni di tipo spirituale e interreligioso, parlano di Gurdjeff, di Osho, parlano dei Dervishi, parlano di queste realtà che erano care a me e a lui. In questo ultimo, invece, che si avvale tra gli altri di molte testimonianze di collaboratori di Franco: Da Ballista a Guaitoli, passando per Caccamo, Filippo Destrieri, Susy Blady, che è stata in Nepal con lui, e con la prefazione di Umberto Broccoli. Qui si ripercorre la vita di Franco senza spiegare la simbologia, il misticismo e il significato dei testi, come ad esempio ho fatto in Niente è come sembra.
Pensi che le canzoni di Franco possano contribuire a svegliare le coscienze?
Sì, l’hanno già fatto e in modo palese. Ma il discorso è un’altro, bisogna essere pronti per comprendere che tutto avviene perché deve accadere.
Che percorso stanno facendo le persone? A che punto del percorso si trovano in quel dato momento? Sono in grado, perché la loro stella ha così deciso, di comprendere appieno ciò che quell’argomento sta trattando? Dipende, non è un’azione della volontà. Non è come decidere una dieta o iscriversi in palestra.
Certamente ci sono gli strumenti per comprendere, i cartelli indicatori, ma poi la strada la deve percorrere ognuno per suo conto.
Tu sei anche un pianista e da giovane hai avuto un gruppo musicale. Pensi che, come la grande musica, parlo della musica colta, contribuisce a una certa evoluzione spirituale, la musica cosiddetta “confezionata”, per intendersi la maggior parte della musica mainstream, possa portare a un’involuzione?
Non c’è dubbio. Intanto però io devo dichiarare la mia anzianità. Il fatto di avere una concezione arcaica, e tradizionale della musica, fatta di armonie e melodie. E soprattutto la musica deve parlare al cuore. Mancando questi requisiti secondo me non è musica.
Talvolta davanti a certi gruppi o davanti a certi nuovi generi musicali, per evitare di esserne infastidito, mi chiudo nell’indifferenza. Tutto quanto si riconduce al concetto di bellezza. La bellezza deve essere riconosciuta come tale; sei tu che irresistibilmente vai verso di essa.
Se ti fai piacere per forza una cosa ti metti in uno stato innaturale. La bellezza ti deve travolgere non la puoi intellettualizzare.
I brani di Franco ai quali sei più legato?
L’Ombra della Luce e Mesopotamia: “Isacco di Ninive… cosa resterà di me e del transito terrestre“.
La musica e la sua bellezza possono salvare il mondo?
Teoricamente sì, ma si parla di una parte. Un concetto esoterico colpisce chi è in grado di recepirlo. Alla stessa maniera la musica può fare del bene a chi la riconosce, perché la massa per lo più non la riconosce.
Immagine di copertina: Andrea Martinelli